Gran Torino regia di Clint Eastwood
DrammaticoWalt Kowalski, reduce di Corea, è rimasto vedovo; non vuole allontanarsi dalla sua villetta, come vorrebbero i suoi figli, e resta solo con i suoi vicini asiatici, il suo fedele cane e la sua splendida Gran Torino, una Ford del ’72 che tutti gli invidiano. Ma quando una banda di malviventi cerca di assoldare il giovane Thao con un’iniziazione che prevede il furto della fiammeggiante Ford, il mondo di Kovalski si apre verso orizzonti che non avrebbe mai nemmeno immaginato.
Gran Torino supera le aspettative che, probabilmente, avevano gli autori stessi: senza pretesa di assoluta originalità, mettendo in scena temi vecchi e abusati, come il razzismo, la redenzione, la vecchiaia e la criminalità giovanile di strada, Eastwood vuole solo dire la sua, mettendo una firma grintosa e personale su una pellicola dal sapore testamentario.
Interpretando di nuovo in prima persona il suo film, Eastwood mette tutta la sua esperienza di attore consumato e di regista di gran calibro, tirando fuori tutta la sua energia di coriaceo quasi ottantenne, per raccontarci un’ennesima storia. Un uomo rimasto solo, che non vuole avere a che fare con la sua famiglia, scopre, involontariamente, di essere molto più simile a quei ‘musi gialli’ che ha combattuto nella guerra di Corea, piuttosto che ai suoi stessi figli o nipoti, che non aspettano altro che la sua eredità.
Ma è proprio la mancanza di altisonanza nei toni a rendere grande la pellicola: Eastwood gigioneggia mostrando i suoi occhi di ghiaccio, impugnando un fucile e fronteggiando dei teppisti, con la stessa tranquillità con la quale affrontava Ramon, quarant’anni dopo, con un ghigno tremendo al posto del sigaro; lanciando insulti razzisti, improperi al prossimo, e difendendo a spada tratta i più deboli, Clint/Walt ritrova sé stesso.
Nonostante il tema della vecchiaia sia più che ridondante e l’odore acre della morte aleggi per tutto il film, la leggerezza dello humour del protagonista bilancia perfettamente ogni istante cupo e malinconico, rendendo scorrevole le quasi due ore di film rette quasi interamente sulla nuca dell’atlantico Clint. Con la consapevolezza che nella vita si può e si deve solo andare avanti, a prescindere dal passato, Walt Kowalski non ha quasi mai esitazione, che si tratti di buttar fuori di casa i suoi parenti, di mangiare per la prima volta cibo hmong o di impugnare una delle tante armi che un americano DOC deve per forza tenere in casa.
Clint Eastwood non giudica, non punta un dito contro, ma si limita ad osservare: il mondo è così, le cose accadono e vanno affrontate. E attraverso il suo cinismo, il suo rifiuto per la religione (quando forse il giovane Padre Janovich è l’unica persona ‘occidentale’ che davvero vuole capire Walt), la testardaggine e la violenza di cui non può fare ormai a meno, Walk Kowalski scoprirà una sua nuova identità al tramonto della sua esistenza. E la Gran Torino? È la macchina che guidavano Starsky e Hutch, cosa potrebbe dirci di più ? Sta lì, parcheggiata nel garage o nel cortile, per essere lucidata e ammirata.
Ma in realtà è quella vecchia Ford il vero osservatore della storia, narratore muto e sincero, di un racconto qualunque di una America che sta cambiando, dove anche gli eroi dei tempi lontani iniziano a comprendere che in guerra non si vince mai.
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