Million Dollar Baby regia di Clint Eastwood
DrammaticoFrankie Dunn gestisce una palestra di boxe e segue i progressi dei suoi pugili, avendo a cuore il loro futuro e non facendo prendere loro delle scelte avventate. Questa prudenza lo porta a rifiutare, in un primo tempo, di diventare allenatore di una ragazza, che si è appena iscritta alla sua palestra: Maggie Fitzgerald. Maggie vuole fortemente "sfondare" e ce la metterà tutta, anche grazie al supporto dell'inserviente e amico di Dunn, Scrap, per conquistare la fiducia dell'allenatore e iniziare così un percorso di formazione che la porterà a combattere per il titolo. Ma il destino, purtroppo, ha in serbo qualcosa di inaspettato per lei....
È davvero una nuova morale quella che emerge dai film di Eastwood? Il protagonista dei film di Leone e poi ispettore Callahan sembra svoltare verso un pietismo molto politically correct, raccontandoci la storia di formazione di Maggie Fitgerald, cameriera trentenne, con una famiglia disastrata alle spalle e alla ricerca della propria realizzazione attraverso la nobile arte del pugilato. Se la prima parte del film si muove lungo i binari della speranza, nella lotta per la sopravvivenza e il successo, una lotta che mette in gioco la vita di Maggie sotto l’egida del suo allenatore Frankie Dunn (interpretatato dallo stesso Clint Eastwood) e che si basa sul rispetto reciproco e sulla tenacia dei due protagonisti, la seconda parte apre le porte ad una deriva pietistica che trasforma l’amore pseudo -filiale di questa coppia , nella messa in discussione dei valori morali della nostra civiltà.
La stessa voce narrante, quello Scrap (interpretato da Morgan Freeman), amico e inserviente nella palestra di Dunn, che ci racconta questa storia , guardando in profondità le anime dei protagonisti, è allo stesso tempo motivo del sorgere del rapporto allenatore-pugile tra Frankie e Maggie , ma anche propulsore della scelta finale di Frankie di assecondare la volontà di Maggie di porre fine ai suoi giorni “staccando la spina”. Quella voce che dovrebbe far riflettere lo spettatore, sembra adeguarsi alla mentalità corrente, quasi come un saggio che torni all’antichità, lasciandosi alle spalle duemila anni di Cristianesimo, aprendo a derive nichiliste. Nello stesso film non mancano luoghi nei quali il centro della fede, la Trinità, venga messa in ridicolo o raffigurazioni della Chiesa Cattolica nelle quali la figura del prete viene sminuita o ridotta a caricatura, mentre il pugile sembra portare con sé una saggezza della vita che supera la fede.
Quello che sembra emergere è un Clint Eastwood fautore di un tradizionalismo e di un conservatorismo critici, potremmo dire progressisti, quasi in un ossimoro. Vi è un tentativo di appiattire il divino sull’umano, chiudendo ogni speranza che vada al di là di una razionalità ontica, che riduce l’uomo in una dimensione terrestre, e dimentica che la vita, nonostante le sofferenze di ogni giorno, è un dono che ci viene dato gratuitamente, ma della quale al contempo siamo responsabili. Ciò non toglie comunque che la pellicola, al di là di queste derive discutibili, risulti solida per costruzione e impianto filmico e abbia alle spalle una sceneggiatura di Paul Haggis (Crash, Nella Valle di Elah), che rielabora il romanzo di F.X. Toole, romanziere di umili origini, appassionato di boxe.
Non dimentichiamo che il film è un tipico film di boxe e che, quindi, Eastwood costruisce la sua pellicola rifacendosi ai canoni del genere, ma staccandosene, in particolare, per il fatto di mettere al centro della pellicola una protagonista femminile. L’uso di richiami e anticipazioni filmiche tra una scena e l’altra rendono più realistica la finzione, narrando per immagini il vissuto dei protagonisti, il loro lato intimo. Rivedendolo più di una volta, a distanza di anni, il film perde però l’impatto iniziale con il quale le immagini sorprendono lo spettatore, quella freschezza e quella novità che, nonostante tutto, il neoclassico Eastwood ha saputo costruirsi, facendosi fautore di un cinema d’autore capace di sviluppare nello spettatore la riflessione e non solo di divertire, mettendosi nel solco della tradizione per quanto riguarda lo stile, ma sovvertendola contenutisticamente.
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