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R Recensione

8/10

Nostalghia regia di Andrey Tarkovskiy

Drammatico
recensione di Francesco Carabelli

Il poeta russo Andrei Gorchacov passa un periodo in Italia per studiare il soggiorno italiano di un famoso musicista russo del '700; la nostalgia di casa è opprimente....

Penultimo film di Andrej Tarkovskij, primo girato al di fuori dell’URRS, grazie ad una collaborazione con la RAI, il film narra le vicende dello scrittore e poeta Andrei Gorchacov (Oleg Yankovskiy), giunto in Italia da Mosca per studiare il soggiorno bolognese di un musicista russo del ‘700. Il soggiorno italiano sarà caratterizzato da una forte nostalgia di casa, della moglie, della famiglia, visivamente resa da un intercalarsi di immagini di ambienti italiani, con immagini della campagna russa da dove originariamente proviene il protagonista. Ma questo soggiorno italiano sarà anche momento di incontri importanti per Andrei, in particolare con la propria interprete, la giovane ragazza romana Eugenia (interpretata dalla bella Domiziana Giordano, qui alla sua prima partecipazione importante in un lungometraggio), ammaliata dal fascino dell’intellettuale russo, ma contemporaneamente delusa dalla mancanza di desiderio di Andrei nei suoi confronti: Andrei ama la moglie che da lui aspetta un bambino e non cede alla tentazione di un’avventura con Eugenia. Ma l’incontro più significativo resta, senza dubbio, quello con Domenico (interpretato dall’attore svedese di scuola bergmaniana Erland Josephson), la cui fede al limite del misticismo o forse della follia, risveglia in Andrei un sentimento del sacro che sembrava perduto. Tutto il film si presenta come una riflessione sulla contrapposizione tra fede e razionalità secolarizzata, o meglio sulla libertà di cui gode l’uomo contemporaneo che diventa spesso licenza e atomizza la società. La fede come salvezza quindi non del singolo, ma dell’intera umanità risulta motore di un cambiamento, ma bisogna essere capaci di sottomettersi a ciò che non capiamo che è in grado di manifestarsi attraverso il bello. Il film è costellato di luoghi in cui rifulge il bello: chiese ancora consacrate o sedimenti di chiese in rovina, luoghi in cui il bello si fa espressione del vero. Significativo che l’immagine finale del film racchiuda la campagna russa e il gotico di una chiesa dismessa quasi a significare il ritrovato equilibrio di Andrei che ritrova nella fede la propria casa, attraverso il suo percorso italiano nell’arte (vedi la contrapposizione con l’atteggiamento dello scrittore nelle battute iniziali del film). Tecnicamente l’uso di colori tenui vira spesso nel bianco e nero, tanto che in alcune sequenze è difficile cogliere la reale tecnica utilizzata se non per alcuni particolari che emergono all’interno della scena (ad esempio le bottiglie verdi, presenza ricorrente nel lungometraggio) La camera è spesso fissa a costruire dei quadri fotografici veri e propri o, altrimenti, in un movimento lento che ricalca la lentezza con cui si svolgono gli avvenimenti, a significare il lento percorso spirituale di Andrei. Il film risulta essere anche una riflessione sulla pazzia, sui quei pazienti che, prima nei manicomi, e ora liberi, risultano un interrogativo per le persone “normali” con quella solitudine a cui sono costretti, che li rende “più vicini alla verità”, per quella loro vivere amplificati  i problemi dell’uomo contemporaneo, dimentico del contatto con Dio e con l’uomo.    

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 3 voti.
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Sydney 4/10

C Commenti

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Sydney (ha votato 4 questo film) alle 17:35 del 2 novembre 2011 ha scritto:

direttamente in cima alla lista dei film più noiosi che ho mai visto. pretenzioso e indigeribile in assoluto.