R Recensione

8/10

L'orologio di Monaco regia di Mauro Caputo

Storico
recensione di Francesco Carabelli

Lo scrittore Giorgio Pressburger ricostruisce la storia della propria famiglia ristretta e allargata, in una fitta trama di legami con tutta Europa.

Il film, presentato all’ultimo Festival del Cinema di Roma, trae spunto dalla raccolta di racconti che Giorgio Pressburger pubblicò per i tipi di Einaudi nel 2003.

Il film, come il libro dello scrittore italo-ungherese di origini ebree, focalizza l’attenzione sulla ricerca delle origini della famiglia dello scrittore e sulle parentele di Pressburger con molti personaggi illustri dell’Europa centro orientale: scrittori, poeti, musicisti, filosofi. Il “gene Pressburger” si è diffuso a partire da Bratislava (per i tedeschi Pressburg) in tutta Europa, dato che figli di questa famiglia erano rabbini di prim’ordine che emigrarono in Germania, Olanda, Austria, Ungheria.

Grazie a ricerche approfondite, Pressburger scopre di essere imparentato con i Mendelssohn, sia il filosofo che il musicista, con Karl Marx, con Heinrich Heine, con Eric Pressburger (famoso regista del secondo dopoguerra e nonno di Kevin MacDonald, conosciuto dallo scrittore in un suo viaggio a Londra) e con molte altre figure di spicco della cultura europea.

Una famiglia modello dei legami transnazionali che esistevano nelle famiglie ebree europee prima della Shoah.

Il regista, Mauro Caputo, è abile nell’utilizzare la figura di Pressburger come protagonista e voce narrante, alternando immagini dello scrittore che si aggira nei vari luoghi storici di Trieste, sua città di residenza (ad esempio la Risiera di San Sabba o il caffè San Marco, la Sinagoga o il cimitero ebraico, il porto e la frontiera con la Slovenia), con immagini di repertorio dell’Istituto Luce (qui coproduttore della pellicola) o con filmati delle città di cui viene narrato durante il film.

Emerge una saggezza del vivere e del morire, dalle parole e dalle immagini, una saggezza di tempi antichi che sembrano svanire di fronte all’incoscienza e alla frammentarietà del presente, incapace di fare memoria. L’uomo contemporaneo sembra essere dimentico della storicità della propria esistenza e del significato dell’esistenza umana. Ma forse, dice Pressburger citando Popper, questa in cui viviamo è la migliore società in cui ha vissuto l’uomo da quando ha preso coscienza di sé.

Un barlume di speranza rimane all’uomo contemporaneo: dietro l’apparire delle cose rimane l’anima immortale dell’uomo, così, come all’orologio di Monaco (che dà il titolo al film, e alla raccolta di racconti) regalato a Giorgio Pressburger dalla zia, nonostante alla morte di questa, sia scomparso il moto manifesto delle palline che ruotavano alla base dello stesso, rimane lo scorrere del tempo che viene indicato dalle lancette che continuano a muoversi sulla ghiera superiore e ad indicare il tempo che scorre.

Grazie all’anima l’uomo riesce a dialogare con i morti tramite il sentimento e riesce così a conoscere la propria storia e il proprio destino.

Di fattura pregevole e accompagnato da musiche delicate e non invadenti, L’orologio di Monaco si presenta come un documentario letterario e filosofico che apre allo spettatore la conoscenza di un mondo di legami e parentele che hanno intessuto la storia europea nel corso dei secoli, spingendo al cambiamento, al progresso e alla ricerca del bene per l’uomo.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.