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9/10

Waking Life regia di Richard Linklater

Animazione
recensione di Cristina Coccia

Un viaggio onirico che ripercorre i temi del libero arbitrio, della democrazia, dell'evoluzione, dell'esistenza di Dio e della sacralità. Girato in Rotoshop, è il più importante film sull'onironautica di tutti i tempi.

 

"Lo stato di sonno profondo, prājña, crea o dissolve. Colui che conosce questo penetra questo universo facendolo suo"

(Maṇḍukya Upaniṣad I, 11)

Guardando per la prima volta un’opera come Waking Life, considerata uno dei capolavori del cinema del terzo millennio, si ha l’impressione di una voluta eterogeneità di stili, contenuti e prospettive differenti, ma il percorso è netto, lineare, anche se prende strade diversificate. Partendo dal titolo si può comprendere facilmente la tesi che si vuol portare avanti: confrontare il sogno con la realtà per congiungerli in uno stesso piano di importanza e di influenza sull’esistenza individuale.

La pellicola di Richard Linklater si apre con l’aforisma “Il sogno è il destino” e poi tenta di ampliare il discorso tramite un viaggio onirico che ripercorre temi come il libero arbitrio, l’evoluzione, il sogno, l’esistenza di Dio e la sacralità. È principalmente un film sull’onironautica, definita da Stephen LaBerge, scienziato dell’università di Stanford e fondatore del centro di ricerca sul fenomeno dei sogni lucidi, come l’esperienza del “sognare sapendo di star sognando”, ma soprattutto è un’opera che sembra voler dare, nel complesso, l’idea della confusione, della desolazione e dello stato d’incertezza dell’uomo moderno. Un ragazzo incontra vari personaggi che affrontano temi filosofici, scientifici, esistenziali che ruotano intorno alla conoscenza di se stessi e della propria coscienza, con annessi condizionamenti mentali esterni. Si abbozza una spiegazione generale alle scene, apparentemente slegate, quando si inizia a parlare di Timothy Leary che, poco prima di morire, aspettava con ansia il momento in cui il suo corpo sarebbe morto, ma il cervello sarebbe rimasto in vita. In realtà si tratta soltanto di 6-12 minuti, ma un secondo nello stato di sogno può durare anni o una vita intera e allora iniziano a farsi strada due differenti ipotesi: o Linklater vuole arrivare a dire che la vita da svegli può essere intesa solo come un sogno di cui abbiamo il controllo, o quello che il regista ha cercato di riprodurre sono gli ultimi minuti di vita cerebrale di un uomo che sta per morire.

Così inizia un percorso interiore che parte dal superamento del concetto di evoluzione in senso darwiniano ed elabora la visione di una “nuova evoluzione”, frutto della commistione tra l’informazione analogica e quella digitale, ovvero delle neuroscienze, che permettono il connubio tra l’intelligenza artificiale e la biologia molecolare. Questa situazione attuale, secondo uno dei personaggi del film, potrebbe generare una nuova tipologia umana, in cui non esiste una competizione tra gli individui a causa della collettività, ma solo una collaborazione tra uomini dotati di una nuova consapevolezza, che giungono a realizzare la propria potenzialità senza più limiti di spazio o di tempo. Nel nuovo paradigma evolutivo, si spera di veder scomparire il parassitismo, il predominio, la moralità e le guerre e di offrire i tratti di un’umanità fondata sulla lealtà, sulla giustizia, sulla fede nelle idee, che porterà, di conseguenza, ad un’involuzione del vecchio concetto di evoluzione che si palesava esclusivamente attraverso l’adattamento sociale e la sottomissione alle leggi della collettività. Tutto si basa, sempre di più, su una nuova visione del mondo in cui non ci si limita più unicamente ai corpi e alla visione materialistica, ma si cerca di capire l’individualità, per comprendere cosa sia la libertà. Se ci si pensa, è, infatti, illusorio l’attuale paradigma evolutivo, dal punto di vista dei valori fondamentali.

"Ci sono due tipi di sofferenti a questo mondo: quelli che soffrono per una carenza di vita e quelli che soffrono per una sovrabbondanza di vita. Io mi sono sempre ritrovato nella seconda categoria. Quasi tutti i comportamenti dell’uomo e le sue attività in sostanza non sono diverse da quelle degli animali. Le più avanzate tecnologie e la nostra abilità artigiana ci portano al livello dei super-scimpanzé, non di più. In realtà la differenza fra, diciamo, Platone e Nietzsche e l’uomo medio, è maggiore di quella che esiste fra lo scimpanzé e l’uomo medio. Il regno del vero spirito, del vero artista, del santo, del filosofo, sono in pochi a raggiungerlo. Perché così pochi? Perché la storia del mondo e l’evoluzione non sono esempi di progresso ma piuttosto un’infinita e futile addizione di zeri? Non si sono sviluppati i valori più importanti. Diamine, i Greci 3000 anni fa non erano certo meno progrediti di noi. Allora quali sono le barriere che impediscono all’essere umano di arrivare per lo meno vicino al suo vero potenziale? La risposta a questa domanda la si può trovare in un’altra domanda. Qual è la caratteristica umana più universale? La paura. O la pigrizia.”

Siamo tutti sempre più tecnologici e sempre più distanti dai livelli massimi del nostro potenziale. Nei Vangeli si distinguono tre aspetti del Verbo: la Via, la Verità e la Vita (1) ; attualmente l’uomo si ferma alla conoscenza della vita ed è sempre meno capace di comprendere la verità con l’intelletto e la via con la piena realizzazione spirituale. Uniformando l’intera esistenza alla materia, si preclude l’indagine intellettiva e ancor di più l’arricchimento spirituale. Si finisce per distaccarsi da tutto ciò che è trascendente, riducendoci ad una massa unica e facilmente manipolabile perché presenta caratteristiche comuni e, per questo, modalità e tempi di risposta prevedibili.

C’era chi sosteneva che “la vita fosse uno stato mentale” (2) e c’era chi, come Timothy Leary, credeva che la vera vita nell’aldilà fosse raggiungibile nello stato onirico, che, tra l’altro, è l’unico momento in cui non si percepisce il tempo in maniera convenzionale e in cui ci si può fermare. Il richiamo è al concetto platonico diàtopon, all’istante inteso come “ciò da cui qualche cosa muove verso l’una o l’altra delle due condizioni opposte”. È infatti “natura dell’istante” quella di essere “qualche cosa di assurdo che giace tra la quiete e il moto, al di fuori di ogni tempo” perché ”… verso l’istante e  dall’istante ciò che si muove si muta nello stare e ciò che sta si muta nel muoversi.. E l’uno così… mutando, muta istantaneamente e mentre muta non è in nessun tempo” (3)

Il sogno dilata questo istante e si separa dal tempo umano. Esiste nella tradizione romana una divinità romana che rappresenta alla perfezione questa capacità: Giano bifronte, signore del triplice tempo, il cui vero volto è il terzo, incomprensibile, che raccoglie, come un’immediata intuizione, tutto il tempo nella simultaneità dell’istante eterno. Questo terzo volto, infatti, è invisibile, perché il presente, nella manifestazione temporale, non è che un istante inafferrabile.(4) Il volto nascosto di Giano è quello per il quale il mondo dello scorrimento temporale viene distrutto e trasformato nell’eterno.

(“Principio degli esseri è l’infinito … da dove infatti gli esseri hanno origine, lì hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo” (5) Non si tratta però di una vera distruzione, ma di una rivelazione: il tempo, e con esso s’intende anche il mondo delle apparenze, cela una sua radice eterna. Tutto si muove in un continuo, perpetuo e ciclico rinnovamento  in cui si può comprendere l’eterno presente solo collocandosi in quell’istante atemporale in cui tutto diviene simultaneo. Giano è, dunque, custode della porta dell’eternità, ha la facoltà di guardare sia al passato che al presente, essendo immutabile e distaccandosi da entrambe le direzioni temporali.

Waking Life porta lo spettatore a riscoprire così, attraverso il concetto di tempo, soggettivo, onirico e atemporale, una dimensione di sacralità, che introduce con il personaggio del regista Caveh Zahedi, e con la sua esposizione delle teorie di Bazin e dei fondamenti della sua critica cinematografica. “Per Bazin Dio e la realtà sono la stessa cosa e l’istante che il film riesce a catturare è proprio Dio incarnato che crea. È come se Dio si stesse manifestando qui e adesso e se ci stessero filmando in questo momento quello che verrebbe fuori sarebbe  Dio come questo tavolo, Dio come te, Dio come me, Dio che guarda come guardiamo noi, che pensa come pensiamo noi. Siamo tutti un Dio rivelato, in questo senso. Quindi un film è la registrazione di Dio, del volto di Dio, forse del volto mutevole di Dio. Quindi Hollywood ha preso il cinema e l’ha fatto diventare un mezzo per raccontare storie, in pratica, prendendo, libri o racconti da cui poter trarre una sceneggiatura e poi trovando gli attori adatti per quel film, ma è ridicolo, perché non ci si dovrebbe basare su una sceneggiatura, ci si dovrebbe basare sulla persona, sull’attore. In questo senso è giusto che esista il cosiddetto star system, perché così si ci basa sull’attore, invece di basarsi sulla storia. Truffaut diceva che una buona sceneggiatura non fa un buon film perché si resta legati alla struttura narrativa. I film migliori sono quelli che non  si fanno schiavizzare dalla sceneggiatura. L’elemento narrativo esiste nel cinema perché esiste un tempo, così la musica; la canzone è una creazione che nasce da quel momento. Ed è questo che il film ha: quel momento, che è un momento sacro. È sacro ma noi ce ne andiamo in giro come se alcuni momenti fossero sacri e altri no. Ma chi può vivere così: dicendo che tutto quello che vede è sacro? Se io dovessi guardarti e così renderti sacro, forse smetterei di parlare.” Il discorso su Bazin è complesso e presenta sfaccettature da analizzare o eventualmente contestare (come, ad esempio, la visione di una sacralità fruibile a tutti o di una rivelazione spirituale a cui, chiunque, democraticamente, potrebbe giungere), ma serve per portare ancora avanti lo spettatore nella sua visione distaccata dalla percezione del tempo. Per Bazin è il cinema, come arte visiva, a dare la possibilità di intuire questa rivelazione, ma collocando queste teorie nella nostra epoca, ci si può ben presto rendere conto che ciò, allo stato attuale, è una pura contraddizione. L’arte sta diventando sempre più priva di forma, destrutturata, specchio di un’umanità priva di anima e che, nella sua fluidità, acquisisce la forma che pochi manipolatori decidono di darle. Ecco come nasce la cultura di massa, strumento di controllo dei processi mentali, che mira a renderci schiavi togliendoci la nostra libertà e individualità.

Ecco che, in quest’ottica, acquista notevole importanza il discorso di Alex Jones, nel film, che parla al megafono nel suo accorato appello di ribellione al sistema: “Adesso, nel XXI secolo, è ora di alzarsi e capire che non dobbiamo farci ammassare in questa trappola per topi, non dobbiamo sottometterci alla disumanizzazione! Non so voi, ma a me preoccupa quello che sta succedendo nel mondo. Mi preoccupa molto la struttura, mi preoccupano molto i sistemi di controllo, quelli che controllano la mia vita e quelli che vogliono controllarla ancora di più! Io voglio la libertà, questo voglio, e anche voi dovreste volerla! Ognuno di noi deve assolutamente sbarazzarsi dell’avidità, dell’odio, dell’invidia, e anche dell’insicurezza, perché è questo il modo in cui ci controllano, ci fanno sentire patetici, piccoli – di modo che, spontaneamente, cediamo alla nostra sovranità, la nostra libertà, il nostro destino. Dobbiamo assolutamente capire che finora siamo stati condizionati a livello di massa, e sfidare lo stato schiavo delle multinazionali! Il XXI secolo sarà un secolo nuovo, e non il secolo dello schiavismo, non il secolo delle menzogne e delle questioni irrilevanti, del classismo, dello statalismo e di altri metodi di controllo! Sarà l’era in cui l’umanità intera si batterà per qualcosa di puro, per qualcosa di giusto! Sono solo idiozie: il liberale democratico, il repubblicano conservatore, li hanno creati per controllarvi – due facce della stessa medaglia – due gruppi manageriali che si contendono la poltrona di presidente della Schiavitù SPA! La verità è lì davanti ai vostri occhi, ma loro ti offrono un buffet di bugie.” Si tratta, chiaramente, di una critica di Linklater  alla borghesia e alla globalizzazione, intesa come forma attuale di eurocentrismo.

Anche l’utilizzo dell’”effetto sogno” nel film è particolarmente idoneo, perché, attraverso il rotoscope, ottenuto usando Rotoshop , software che fa uso di livelli virtuali, il regista ha dato la possibilità a diversi artisti di esprimersi secondo stili differenti. Gli animatori hanno fatto coincidere al live action, girato da Linklater, l’animazione approssimata e rozza che fluidifica e decompone le immagini realmente filmate. Il risultato è volutamente discontinuo e destabilizzante.

Il viaggio onirico attraversa varie fasi, fino a quando il protagonista inizia ad essere cosciente del suo stato di sogno, realizzando che non riesce a compiere semplici azioni come leggere l’ora o spegnere le luci. Le sue allucinazioni sembrano deliranti e irreali, ma danno allo spettatore il modo di riflettere sulle possibilità che può offrire una realtà diversa dallo stato di veglia, in cui è abituato a muoversi e ad esistere. Al di là dei confini della materia e dei moderni paradigmi scientifici, esiste ancora un’esistenza inesplorata, illimitata, indefinita ed indefinibile. Forse, se se ne comprendesse la funzione essenziale, la si potrebbe utilizzare per uscire dalla vita convenzionale, per essere meno facilmente irretiti dalle idee preconcette e dall’influenza che i demagoghi esercitano sulle folle, per sfuggire alla suggestione degli ipnotizzatori sociali (6) a servizio di potenze occulte che vogliono un mondo fatto di borghesi, di cloni facilmente sostituibili a basso costo, di uomini “svegli” completamente inglobati in questa realtà, risucchiati, scomposti, digeriti e assimilati da questo sistema.

In questa condizione, è probabile che lo spirito si sia completamente isolato dalla materia, ritirato dal mondo esterno, in modo da lasciarla in preda della sua stessa degenerazione, allontanandosi sempre di più da essa. Questo è lo stato in cui l’arte, e con essa il cinema stesso, si perde nel flusso accidentale e transitorio creato dalla contingenza, si dissolve e non è più capace di riflettere idee nuove. In questa desolazione, il film di Linklater è utile per fornirci un quadro della situazione, a patto che lo si sappia guardare dall’esterno, da un punto di vista simile a quello raggiunto nello stato di sonno profondo, strappando la cortina dell’illusione. L’ultima scena dovrebbe essere letta solo come una critica violenta e distruttiva del mondo reale, da cui è meglio allontanarsi, distaccandosene e volando via (come accade al protagonista), verso luoghi più elevati, lontani da uno stato di completa sottomissione alle leggi della scienza, dell’evoluzione, della brutalità istintiva della materia, in cui ogni tentativo di comprensione e di analisi potrebbe risultare ineluttabilmente ingannevole, come la stessa concezione del tempo, se non si riesce a vedere oltre.

Opere citate

1. “Io sono la via, la verità e la vita” -  VangeloGv. 14, 1-6

2. Being There, diretto da Hal Ashby, 1979

3. Platone, Parmenide, 156d

4. Réné Guénon, Simboli della scienza sacra, 1975, Milano, Adelphi, pag.212

5. Anassimandro, SimplicioDe physica, 24, 13

6. Réné Guénon, La crisi del mondo moderno -  Il caos sociale – Critica al democratismo, 1972, Roma, Edizioni Mediterranee, pag.101

 

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