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R Recensione

9/10

Leviathan regia di Andrej Zvjagincev

Drammatico
recensione di Ivana Mette & Fulvia Massimi

Nel villaggio di Teriberka, sulla costa del mare di Barents nel Mar Glaciale Artico, Nikolai, padre e marito, combatte una guerra legale contro Vadim, il sindaco, che minaccia di espropriargli la casa e la proprietà. Il protagonista, grazie all’aiuto di un suo vecchio amico dell’esercito, diventato avvocato, tenta di difendere la sua vita e le cose che possiede, mentre l’operato del Sindaco si fa sempre più pericoloso.

 

Ivana Mette (voto 9):

Ambientato nella Russia rurale, Leviathan si presenta come un opera estremamente cruda ed elegante. Un capolavoro di magistrale raffinatezza che racconta uno spaccato della condizione russa contemporanea. Narra l'eterna vicenda della lotta dell’uomo contro lo stato e l’ordine costituito. Una fluente, seppur lenta,  narrazione che chiama in causa la storia biblica di Giobbe e il Leviatano di Thomas Hobbes. La teoria dello stato di Hobbes sta alla base della storia in uno scontro continuo tra uomini e istituzioni in un climax che si fa sempre più violento e drammatico.

Ma alla base vediamo anche la storia di un uomo comune, Marvin John Heemeyer, che il regista sceglie come fulcro del suo film. E gli echi di tutto il lavoro registico si riscontrano facilmente nel film, in cui tutto è studiato alla perfezione e con un'attenzione al dettaglio che solo pochi registi possiedono. Perché vi è un colossale lavoro dietro che trascende il budget o il girato. Ogni parola e ogni gesto è perfettamente ponderato e coinvolgente. Nonostante il film metta in scena tematiche e scene forti, non risulta mai noioso e sempre ti trascina e cattura, guidandoti a piccoli passi fino a raggiungere il suo apice.

La simbologia non eccessivamente esplicita, ma allo stesso tempo impossibile da non notare è in particolar modo espressa dallo scheletro di una balena blu che come una bestia mitologica si erge in tutta la sua maestosità e imponenza vicino all’uomo, la cui figura appare visivamente insignificante in sua presenza e schiacciata dal suo essere.

L’interpretazione eccellente di un cast finemente ed accuratamente scelto aiuta ad entrare ancora più affondo nella vicenda, permettendoci di studiare i singoli personaggi nella loro interiorità, nel loro interagire con gli altri e soprattutto nel loro venire ad uno ad uno schiacciati e dilaniati fino addirittura a perdere la loro vita e la loro libertà, dalla macchina invincibile di un sistema corrotto e ingiusto.

La storia di Leviathan è un po’ la storia non solo della Russia e del suo popolo, la cui scelta di location risulta essere adatta e più corretta, ma quella di molti stati odierni e delle loro popolazioni, i quali a prescindere dalla presenza di una dittatura o monarchia o repubblica che sia, si trovano a combattere contro ingiustizie sociali, legali e umane che affliggono l’animo umano e ne influenzano la vita. Questo, senza avere la possibilità o talvolta la volontà di poter cambiare le cose e accettando l’inevitabile conseguenza di uno stato sovrano in cui gli interessi di pochi sono la rovina di tanti che si ritrovano schiacciati, oppressi e privati di tanti diritti fondamentali, senza la possibilità di associare le parole ai fatti.

Il film risulta dunque essere in grado di toccare l’anima e far riflettere su verità ultime, imprescindibili, di cui ne è essenziale la conoscenza e su cui ognuno di noi dovrebbe riflettere.

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Fulvia Massimi (voto 8):

Selezionato per rappresentare la Russia nella corsa all’Oscar per il miglior film straniero – nonostante le pesanti riserve del Ministro della Cultura Vladimir Medinsky fin dalla presentazione del film in concorso a Cannes 2014 (dove si era aggiudicato il premio alla miglior sceneggiatura) – Leviathan di  Andrey Zvyagintsev, già palma d’oro nel 2003 con Il Ritorno, dipinge un affresco sontuoso e potente della contemporaneità russa, cogliendo con ferocia il collasso della nazione sotto il peso della corruzione politica e dell’ipocrisia religiosa. 

Ispirato alla vera storia dell’americano Marvin Heemeyer così come alla riflessione veterotestamentaria sull’ingiustizia divina contenuta nel Libro di Giobbe – di cui la sceneggiatura di  Zvyagintsev e Oleg Negin é il libero adattamento - Leviathan sfrutta la metafora del mostro biblico per raccontare una storia di ordinari soprusi, un dramma ineluttabile che parte in sordina e cresce con violenza montante, senza tuttavia offrire alcuna consolazione di sorta.

Come un Giobbe inconsapevole, ma senza il medesimo lieto fine, Kolya interroga l’esistenza di Dio e così il suo senso del giusto, nel momento in cui la vita lo sottopone ad una serie crescente di sventure. La parabola narrata da Zvyagintsev con spaventosa consapevolezza registica ed intellettuale non ha però lo scopo di presentare la magnanimità divina nel suo compiersi, quanto piuttosto di sdoganare i falsi dogmi della dottrina ortodossa quando il senso della spiritualità e la predicazione del vero si rivelano vuoti contenitori di più concrete e venali intenzioni.

Il Leviatano del titolo non è tuttavia solo e soltanto il mostro marino del racconto biblico, ma anche il mostro politico della filosofia di Thomas Hobbes, che alla creatura mitologica si rifece per indicare l’intervento tentacolare dello Stato assoluto sulle pulsioni dei suoi singoli cittadini – e che con esso postulò, guarda caso, anche la coincidenza del potere statale con quello ecclesiastico. Del bellum omnium contra omnes di hobbesiana memoria non v’è però alcuna traccia nelLeviathan di Zvyagintsev, che oppone al disordine ferino dello stato di natura la guerra donchisciottesca del singolo contro l’oscura e inarrestabile autorità politica.

Nella stratificazione sedimentaria dei riferimenti culturali e iconografici di cui Zvyagintsev fa sfoggio, la carcassa gigantesca del cetaceo melvilliano, compresa in una delle inquadrature più memorabili del film, finisce allora con il rappresentare lo sventramento stesso del protagonista per effetto degli eccessi di potere del presunto stato “civile”, e al tempo stesso, fuor di metafora, la riduzione della sua casa, ossia del suo unico possedimento, ad un cumulo di macerie su cui edificare con diabolica ironia il tempio della fede cristiana.

A differenza della litania monotona del giudice compiacente, colta da Zvyagintsev in una straziante carrellata in avanti all’inizio del film, il monologo conclusivo del pope corrotto va allora al di là del semplice rituale liturgico per consegnare piuttosto allo spettatore le ragioni di una rabbia a lungo sopita, infine esacerbata in tutta la sua forza dal richiamo ipocrita all’amore e alla verità recitato tra gli sfarzi di una Chiesa costruita sul sangue altrui. Condannato dalla sua stessa ingenuità, l’Uomo Buono (che pure non è privo di colpe) soccombe ad un potere che – per voce dello stesso sacerdote – è solo Dio ad assegnare o rimuovere, ma sempre secondo i criteri materiali di una religiosità fatta di cose e non di sentimenti, come perfino il prete del villaggio sembra confermare.

L’iconografia cristiano-cristologica, già pregnante ne Il Ritorno (dove la rappresentazione della figura paterna coincideva con quella del Cristo Morto mantegnano), torna allora ad incidere sull’indessicalità della regia di Zvyagintsev, che alla macchina da presa affida il compito di guidare l’occhio dello spettatore là dove è necessario che esso si soffermi. Il volto scolpito dell’ecce homo come anticipazione del destino di Kolya è infatti solo uno degli indizi suggeriti da Zvyagintsev, che non si fa scrupoli nell’accostare nella stessa inquadratura la sacralità dell’icona russa e la prosaicità della cartolina pornografica, o nell’utilizzare i volti non meno iconici dei vecchi presidenti (quelli nuovi devono ancora macerare a sufficienza sui muri dei pubblici uffici) come bersagli di tiro.

Iniziato e concluso nello spazio macrocosmico del disegno politico, Leviathan si dispiega tuttavia maggiormente nel microcosmo intimo e angosciante della tragedia domestica. Non è solo con la lotta tra giusto e ingiusto, stato tiranno e singolo indifeso che si esprime il ritratto di una nazione, ma anche e soprattutto attraverso le dinamiche di genere che lacerano i fragili tessuti dell’equilibrio famigliare. In un mondo di uomini schiavi dell’alcool e della virilità stereotipata, che nasconde i sentimenti ma esercita la forza bruta delle armi e dei pugni, Zvyagintsev riesce allora ad inserire un personaggio femminile magnetico (cucito addosso alla splendida Elena Lyadova), in grado di spostare l’asse del film verso i territori tumultuosi del melodramma, dando così un senso più umano ed universale ad un racconto di altrimenti piatta violenza burocratica.

In continua tensione tra sfera pubblica e privata, spietato ma anche intriso di un’ironia nera ed efficacissima, Leviathan è un film complesso, un saggio impegnativo dall’alto coefficiente tragico, in cui sesso, violenza e morte vengono lasciati ob-scaena come da tradizione greca, affinchè non contaminino il palcoscenico già marcescente della realtà contemporanea. Il messaggio politico temuto da Medinsky filtra allora attraverso la potenza della regia di Zvyagintsev e della scrittura di Negin, che grazie alla sua consapevole precisione promette di imprimere Leviathan nella mente dello spettatore anche dopo l’ultima dissolvenza al nero.

Girato quasi interamente nella regione di  Murmansk, Leviathan gode della bellezza spontanea ma annichilente del paesaggio costiero offertosi in dono a Zvyagintsev, che, come già ne Il Ritorno, approfitta del potere romantico del sublime naturale per apporre la propria firma autoriale alla sua opera più ambiziosa. Amplificato dalla magnificenza musicale dell’Akhnaten di Philip Glass  e da quella visiva della fotografia di Mikhail Krichman (già superlativa ne Il Ritorno), Leviathan si chiude infine sulle immagini di una natura immanente, immobile e silenziosa solo in apparenza, in cui il turbine biblico si schianta e rimbomba negli spazi svuotati di presenza umana, lasciando allo spettatore un pesante gomitolo di memorie e sensazioni da sbrogliare da sè.

V Voti

Voto degli utenti: 8,8/10 in media su 4 voti.
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alexmn 9/10
IvanaM 9/10

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