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8/10

The Way Back regia di Peter Weir

Drammatico
recensione di Alessio Colangelo

Un tenente polacco dopo essere stato condannato a 20 anni di lavori forzati in un gulag in Siberia cercherà di riconquistare la libertà...

“C'è una gioia nei boschi inesplorati, C'è un'estasi sulla spiaggia solitaria, C'è vita dove nessuno arriva vicino al mare profondo, e c'è musica nel suo boato. Io non amo l'uomo di meno, ma la Natura di più.” George G. Byron

Il grande pericolo che corre una pellicola come The Way Back è di essere relegata in quell’angolo tra gli scarsi titoli estivi che scorrono  veloci senza lasciare traccia.  L’ultimo film del regista di Master & Commander, dell’Attimo fuggente e di Truman Show, Peter Weir, è invece un’ opera di alto valore simbolico e umano distribuita in Italia con qualche colpevole ritardo. La storia è quella di un gruppo di fuggiaschi di un Gulag russo in Siberia che percorrerà oltre 6500 km fino a raggiungere l’ India. Il film si avvale del supporto del National Geographic  per esaltare gli affascinanti, ma anche letali, landscapes nei quali i protagonisti in marcia via via si troveranno. Un film alla Into the Wild con un rinnovato contatto con la natura e i primordi dell’ uomo : emblematica la scena dei graffiti rupestri in grotta. Il viaggio a piedi ci condurrà dai boschi freddi siberiani, superando il lago Baikal verso il confine con la Mongolia,  attraverso il deserto del Gobi, fino alle vette dell’ Himalaya, ultima tappa prima di raggiungere l’India.

Il film è basato sulle memorie del tenente polacco Slawomir Rawicz che ha pubblicato il libro della sua odissea: Tra noi e la libertà, in Italia edito da Corbaccio. Il film vanta un cast di prim’ordine con Ed Harris, Colin Farrell , Jim Sturgess e la bravissima Saoirse Ronan già osannata dalla critica in Espiazione e Amabili Resti.

 Il film nonostante la sua lunga durata di 128’ non annoia mai, concentrando l’attenzione degli spettatori sia sulla vicenda narrata, e quindi sullo sviluppo della caratterizzazione dei personaggi, sia sulle immagini  docu-estetiche e naturali proprie del National Geographic. Per quanto riguarda la colonna sonora resta tutta un po’ nascosta, infatti in molte scene il regista preferisce i suoni della natura alla musica. La lotta per la sopravvivenza e le privazioni a cui sono sottoposti i protagonisti rendono il film una grande storia di coraggio e solidarietà umana nella quale un posto centrale lo svolgono le capacità e il coraggio individuali. Non tutti arriveranno in India, molti moriranno prima, ma con la consapevolezza di essere finalmente liberi. La ricerca della libertà è ciò che muove i personaggi ad avanzare senza fermarsi fino in India, dove rimarranno aspettando la fine del regime comunista nel loro paese. Il  film proietta velocemente  i frammenti storici in sequenza dal 1942 al 1989 con i passi in dissolvenza a indicarci che la marcia non si è mai conclusa:  poiché la libertà è un dono prezioso e una volta persa è molto difficile da riconquistare. È uno dei pochi film che,  decentrando il punto di vista dal campo di sterminio tedesco a quello russo, ribadisce il concetto della Storia subita dalle  singole persone, ma anche la convinzione che le stesse possano e sappiano affrontare anche i momenti difficili restituendoci una narrazione a posteriori che può essere il punto di partenza e non di arrivo su cui riflettere. Come diceva Baudelaire  "I veri viaggiatori sono soltanto quelli che partono per partire non si allontano mai dal proprio destino e senza sapere perché, dicono ogni volta: "Andiamo"!

   

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