Reality regia di Matteo Garrone
DrammaticoInizia come se fosse una favola, con tanto di carrozza e cavalli bianchi, la storia di Luciano, pescivendolo napoletano che durante le feste si diverte a intrattenere amici e parenti con diversi travestimenti. Convinto dalla famiglia l'uomo decide di fare il provino per il Grande Fratello. Luciano passa il turno: bisogna fare il provino, quello "vero", quello decisivo, a Cinecittà . "E' stata una cosa troppo bella" racconta Luciano alla moglie appena uscito dal colloquio. I responsabili del programma non chiamano, ma lui ormai è convinto: presto lo contatteranno e ed entrerà nella tanto sognata casa.
C'è un' inquadratura bellissima all'interno di Reality, ultimo film di Matteo Garrone. E' quella in cui, al tramonto, Luciano, il protagonista, travestito da donna con una parrucca blu tiene in braccio la figlia e insieme guardano con aria sognante lontano, fuori campo. Potrebbero guardare qualsiasi cosa con quello sguardo: la moglie e madre della bimba che sorride a entrambe, un panorama della loro amata Napoli, gli sposi del matrimonio a cui sono invitati. E invece no. Con quello sguardo sognante Luciano e sua figlia guardano Enzo, l'ultimo uscito dalla casa del Grande Fratello. L'essenza del film è tutta qui: è attorno alla Televisione (si, in maiuscolo) che ruota l'esistenza di questa povera gente che Garrone decide di farci conoscere. Il regista si infila con naturalezza all'interno della vita della famiglia di Luciano, famiglia pacchiana, un po' barocca e un po' verghiana, in forte contrasto con la delicatezza registica con cui Garrone filma le scene, senza fronzoli o insensata ricerca estetica. L'ossessione televisiva di Luciano è raccontata attraverso i suoi intensi primi piani, quegli sguardi sognanti che all'inizio un po' ci fanno sorridere ma che poi creano quel forte senso di angoscia. Lo stesso senso di angoscia che è capace di creare The Truman Show di Peter Weir? Il paragone è inevitabile visto l'argomento, ma quella è un'altra storia, un'altra angoscia, più simile a quella descritta, non agli stessi livelli, ma pur sempre bene, nel film Superstar di Xavier Giannoli, presentato in concorso a Venezia 69. Qui non è la Televisione a creare una storia su Luciano, è Luciano che crea la sua stessa storia. E' lui a credere che la Televisione lo stia cercando, lo stia seguendo. Una vera e propria divinità che lo mette alla prova, tanto che la moglie per tentare di liberarlo lo porta in chiesa, quasi fosse posseduto. La supremazia di questa entità che è la Televisione all'interno del film impedisce però al regista di soffermarsi sulla personalità del protagonista: a tratti risulta una macchietta, un burattino nelle mani della famiglia prima, e della Televisione poi. E' questo uno dei pochi punti negativi del film, a cui se ne lega un altro: Garrone non rinuncia a fare denuncia sociale ma la micro storia della truffa dei robotini da cucina non regge, e a tratti sembra infilata lì senza un vero perchè. Premiato a Cannes con il Gran Premio della Giuria, il film non è ai livelli del precedente Gomorra, forse anche a causa del soggetto scelto per i due film. Troppo forte il tema di Gomorra e troppo abusato ultimamente il tema di Reality per fare un vero e proprio paragone tra i due. Tuttavia, Garrone non delude e si dimostra sempre il regista di alto valore qual è.
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