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7/10

L'Industriale regia di Giuliano Montaldo

Drammatico
recensione di Alessio Colangelo

Nicola, industriale torinese, è strangolato dai debiti, la sua società sta fallendo. Laura, sua moglie, è sempre più distante e lui comincia a sospettare della sua fedeltà. Tutto precipita per poi tornare a posto, ma Nicola ha un segreto da nascondere…          

Il Lavoro rende...?

L'ultimo film di Giuliano Montaldo (regista affermatosi già negli anni 60 e autore di film prestigiosi) è insieme un noir e un melodramma, girato in una Torino nebbiosa e invernale sembra realizzato usando un viraggio in grigio, tanto che molte scene appaiono quasi in bianco e nero. Tutta questa cupezza invernale è il sintomo e il background dietro i quali si sviluppano due vicende parallele: la crisi della fabbrica di Nicola, industriale onesto che segue l'impresa del padre, e la crisi della sua vita familiare con una moglie che lo ama, ma sembra allontanarsi da lui. Le banche e le finanziarie non concedono prestiti a Nicola per mancanza di garanzie, l'unica via d'uscita dal crollo sembra una difficile acquisizione da parte di un gruppo tedesco. Intanto la sua vita sentimentale peggiora notevolmente, complici la suocera altezzosa e l'interesse della moglie (Carolina Crescentini) per Gabriel, un garagista rumeno (Eduard Gabia). La presunta relazione farà presto precipitare le cose e l'industriale alla fine troverà la fortuna lavorativa macchiandosi però di un delitto che sancirà la fine della sua relazione con la moglie Laura: "Alla fine hai fatto la guerra contro il mondo, peccato che abbia pagato il più debole".

Montaldo gira magistralmente un film melò d'impegno senza sbavature, la tecnica registica è sempre pulita e corretta, il film è lontano dalle ambizioni grottescamente deformanti di un Sorrentino, ma dimostra che la nostra cinematografia sa esprimere qualcosa anche girando in maniera classica. L’Industriale si dimostra quindi un film con un alto tasso di melanconia e tristezza, lontano da un cinema di denuncia o d’impegno sociale, in tutta la pellicola tira un’aria tetra degna di un racconto di Kafka. Se l’intento ambizioso, annunciato dal regista, era quello di far discutere dell’ attuale situazione economica con questo  film non ha raggiunto lo scopo perché si verifica uno slittamento nel genere melodrammatico che lascia solamente accennati gli aspetti di rilevanza sociale. L’interpretazione di Favino è decisa e sincera anche se non convince del tutto il personaggio, a metà tra il macho teutonico stile Leonida di 300, visibile nelle sequenze della piscina e della sauna, e l’industriale cravattato che però non disdegna il lavoro più umile e in particolare quello operaio. Nicola fondamentalmente è ritenuto dall’alta società torinese un uomo ormai fallito come fallimentare è il destino della sua impresa.

Nonostante i suoi sforzi di risollevarsi e complice anche la sua testardaggine, Nicola resta un ingenuo, un guten menschen opposto totalmente alla figura sgradevole e spregiudicata di Ernesto Botta ne Il Gioiellino di Andrea Molaioli. Nicola non si inventa i soldi per far quadrare i bilanci, decide di seguire la via più difficile e più legale dei prestiti delle banche anche quando queste in effetti praticano delle vere e proprie estorsioni ed usure legalizzate. Se dovessimo sintetizzare il film in un unico stop-frame potremmo benissimo tenere buona quell’ inquadratura sul Po, freddo, grigio e immerso nella nebbia di una Torino in gennaio, all’ alba, prima che le industrie aprano i cancelli, prima che i lavoratori comincino le loro mobilitazioni fuori dalle fabbriche, prima che la macchina del lavoro e del denaro si metta in moto con il suo continuo fondersi di patti virtuosi e patti mafiosi. L’aria tesa e acre che avvolge la società torinese è quella della crisi economica attuale con le sue ingenti contraddizioni finanziarie dove la vita aderisce alla consueta legge della giungla: l’homo homini lupus di Montaldo regge fin quando ci si limita a fotografare una società corrotta e senza via di scampo, ma proprio in questo  pessimismo sociale sta l’incapacità e il limite di gran parte del cinema italiano contemporaneo, vale a dire confrontarsi con  quello che sarà invece  il nostro futuro e  le sue possibili declinazioni. Ripartiamo quindi dalla triste frase iniziale “Il lavoro Rende…” dove il frei non ha mai incominciato ad esistere, per aver più fiducia nelle sfide del futuro.        

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Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 4 voti.

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Marco_Biasio (ha votato 7 questo film) alle 13:53 del 16 gennaio 2012 ha scritto:

Lo vedrò certamente. Il trailer mi ha ricordato molto da vicino le atmosfere de Il Gioiellino di Molaioli... però qui c'è un Favino ed una Crescentini - sempre bellissima, peraltro -. Buona recensione davvero.

Peasyfloyd (ha votato 7 questo film) alle 14:00 del 2 agosto 2012 ha scritto:

recensione molto molto bella, concordo. Film gradevole che si offre a numerose sponde. D'accordo con Alessio che si slitta forse troppo (rispetto alle intenzioni dell'autore) nel campo sentimentale, mettendo in secondo piano quello sociale. Peraltro proprio sul piano sociale mi è venuto da pensare che un film del genere Montaldo negli anni '70 non l'avrebbe mai potuto fare. L'avrebbero subito accusato di essere filo-padronale e venduto. Quel che emerge è infatti il ritratto di un industriale "buono", che però coincide con la figura di un "borghese piccolo piccolo", incapace al momento opportuno di tirare fuori le palle fino in fondo (sintomatico l'incontro con il rumeno). I veri cattivi qui sono le banche che non prestano i soldi ai pur ricchi industriali, che abbracciano affettuosamente operai che stanno al posto loro, e non pensano minimamente di mettere in discussione i rapporti di produzione.

NOn sono più i tempi del duo Petri-Volontè, me ne rendo conto, e non voglio esprimere giudizi su questa scelta di Montaldo, ma sicuramente mi sento di poter dire che se avesse fatto un film così nei '70s l'avrebbero sbranato.

Nel complesso cmq film più ceh godibile e pieno si punti interessanti, anche se, come si è fatto notare, non pienamente risolto e concluso nel suo insieme

Marco_Biasio (ha votato 7 questo film) alle 18:58 del 8 dicembre 2013 ha scritto:

Evidentissimo è, secondo me, il taglio dostoevskijano che Montaldo ha dato alla vicenda del film, specialmente nella realizzazione cromatica delle scene - questa Torino pare la Pietroburgo di Prestuplenie i Nakazanie, stagione a parte. Non a caso ne parla anche Favino, nelle interviste del backstage. Per il resto, l'ho trovato un discreto melò, ottimamente interpretato, specialmente da Carolina. Un unico appunto: ma voi credete davvero che l'industriale sia rappresentato, ontologicamente parlando, come "buono"? Vuole rimanere in sella all'azienda più per orgoglio personale o per non lasciare i suoi operai/amici a casa? Ci possono essere più letture in contemporanea, anche per il finale.