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5/10

San Andreas regia di Brad Peyton

Azione
recensione di Alessio Colangelo

In seguito ad un terremoto di proporzioni gigantesche in California, scatenato dal risveglio della faglia di Sant'Andrea, il pilota di elicotteri e vigile del fuoco Ray (Dwayne “The Rock” Johnson) specializzato in ricerca e salvataggio, insieme alla ex moglie, intraprenderà un viaggio da Los Angeles a San Francisco, per cercare di trarre in salvo la loro unica figlia.

In attesa dell’arrivo dell’estate nel panorama cinematografico cominciano già a spuntare titoli non impegnativi che ci accompagneranno come di consueto sotto l’ombrellone. San Andreas, diretto dal poco conosciuto regista Brad Peyton, porta sullo schermo un filmone fracassone che centra tutta la sua carica distruttiva sul wrestler Dwayne Johnson che interpreta il protagonista. San Andreas è un film “johnsoncentrico”, nel senso che il grande pubblico lo va a vedere proprio per capire se, al di fuori dei panni del poliziotto Hobbs di Fast and furious, Johnson possa reggere il ruolo del protagonista per un film intero. La risposta è Ni, poiché il film si prende troppo sul serio e le poche battute umoristiche della sceneggiatura non fanno raggiungere un livello di intrattenimento accettabile danneggiando così la messa in scena e il ruolo del protagonista, che galleggia privo del sostegno di un attore-spalla. In questo film Johnson non si autocelebra, ma resta ad osservare gli eventi senza accorgersi che a crollare, come i grattacieli, è proprio la sceneggiatura, ridotta ad un semplice e banale riempitivo del genere: “Resisti, tieni duro, ti salvo io!”. Un film che pone la famiglia al centro della narrazione e che insiste ad nauseam sull’importanza di tenerla sempre unita. Il resto del film è già noto: effetti speciali utilizzati allo sfinimento per far cadere qualsiasi cosa sia alta più di 10 metri e far esplodere qualsiasi cosa si inquadri nello schermo. I personaggi ovviamente si caricano di iperpatriottismo americano e diventano supereroi impavidi, sprezzanti di qualsivoglia legge di conservazione. Il terremoto avviene praticamente subito, tanto si va a vedere un film catastrofico, quindi a chi interessa la trama? Perché il “Big One”, termine reale riferito ad una futura e fino ad ora ipotetica catastrofe sulla faglia di San Andreas, viene spiegato in maniera frettolosa da un Paul Giamatti di cui non capiamo tuttavia l’utilità, visto che, chiuso all’interno del dipartimento di sismologia del California Institute, non si metterà mai a contatto con  la principale linea narrativa. Di veramente impressionante in San Andreas non c’è nulla, la narrazione resta incentrata sulla famiglia del protagonista senza lasciare spazio alle persone circostanti che vengono sbattute ovunque dalla CG. La pomposa colonna sonora nella scena finale segue lo scioglimento di una bandiera americana nello scenario di distruzione, mentre vengono dette le ultime due battute: “E adesso cosa facciamo?  Ora ricostruiamo tutto.” In conclusione ci sarebbe da ricostruire un altro disaster-movie perché questo, nel suo stereoscopico 3D,  non fa traballare nemmeno le poltrone, come ha fatto il famoso “Terremoto” di Mark Robson del 1974.

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