R Recensione

7/10

Segreti di Stato regia di Paolo Benvenuti

Drammatico
recensione di Alessandra P.

Segreti di Stato, del regista P. Benvenuti, focalizza attraverso il processo alla banda di Salvatore Giuliano, svolto a Viterbo nel 1951, un'indagine sistematica sui fatti avvenuti nella storica strage di Portella della Ginestra, in provincia di Palermo. Un avvocato conduce tra colloqui, riflessioni e interpretazioni sulla base di materiali di ricerca documetaria, una decodificazione delle verità storiche inconfessate, tra documenti secretati, e libere deposizioni, una ricostruzione dinamica del drammatico evento profandamente diversa dalle dichiarazioni ufficiali.

 

“Vorrei mostrarle come in Sicilia si giochi la storia d’Italia”

 

Segreti di Stato è un'opera cinematografica del regista Paolo Benvenuti ( Puccini e la fanciulla, Confortorio, Gostanza da Libbiano, Il bacio di Giuda ) nata da un incontro rivelatore e viscerale in termini di ricerca  giornalistica che inquadra storicamente  una delle prime stragi eseguite all'alba dell'Italia Repubblicana: la strage di Portella della Ginestra, avvenuta il primo maggio del 1947. Il commando guidato dal bandito Salvatore Giuliano fece fuoco su un corteo di duemila persone mentre celebravano la festa dei lavoratori, in provincia di Palermo. Nella strage morirono 11 persone e altre 27 rimasero gravemente ferite. Questo fatto fu inizialmente considerato dal ministro dell'Interno Mario Scelba  un episodio dai significati endemici alla propria realtà locale, ma le indagini nei mesi successivi misero in luce la cause legate ad elementi reazionari in comunione con la realtà mafiosa del posto, in quanto lo stesso Salvatore Giuliano  era già colonnello della struttura clandestina paramilitare dell'Evis. Si susseguirono numerosi attentati contro le sedi partitiche del PCI e in diversi comuni siciliani, sollecitati da un volantinaggio che persuadeva a una ribellione verso il comunismo, a detta degli inquirenti, compiuti dallo stesso nome sospetto della medesima strage. Prime interpretazioni sulle finalità di questa drammatica vicenda osservarono nel primo obiettivo un'intimidazione verso la sinistra siciliana con il conseguente scoraggiamento dei suoi sostenitori, l'alleanza dei comunisti e dei socialisti portò alle elezioni regionali di quello stesso anno a un superamento schiacciante della Democrazia Cristiana, con la conseguente possibilità di una sua tangibile presenza al Governo. Il tempo, le indagini storiche, le successive rivelazioni condussero verso una ricostruzione più inquietante con il consolidamento fisico di un'ipotesi non considerata prima: un attacco  realizzato con la complicità di membri delle istituzioni che lo rendeva di fatto la " Prima strage di Stato". L'opera cinematografica nasce da un incontro umano e artistico tra il regista Paolo Benvenuti  e il sociologo, poeta e attivista della nonviolenza italiana, Danilo Dolci, avvenuto nel 1996, un anno prima della sua dipartita. Dolci mise a conoscenza il regista di questa storica strage. Il sociologo portò avanti per anni indagini e ricerche sistematiche legate a questa vicenda  dopo un periodo di detenzione avvenuto con l'accusa di sedizione per aver capeggiato uno sciopero "alla rovescia" ( consisteva in attività lavorative condotte da persone con problemi di disoccupazione, che nel caso specifico riattivò pacificamente una strada comunale abbandonata da tempo) nel 1956 , in favore di contadini in condizioni di indigenza sensibile, e per aver partecipando alla riparazione di una vecchia "trazzera" dissestata. La detenzione lo mise in contatto diretto con gli uomini della stessa banda di Salvatore Giuliano, detenuti anch'essi nel carcere dell'Ucciardone di Palermo nel quale era stato tradotto. Il materiale delle interviste  raccolto dalla testimonianza per voce dei banditi fu l'inizio di una lunga indagine condotta poi successivamente con i suoi collaboratori su tutto il territorio siciliano. Materiale raccolto e conservato che mise a disposizione del regista Benvenuti nel suo Centro Studi a Partinico, documenti archiviati con la dicitura "Portella della Ginestra - testimonianze". Una collaborazione iniziale di decodificazione dei documenti per il regista scevro di conoscenza non solo del fatto, ma della tragedia nel suo contesto  storico, iniziando dalla biografia di Salvatore Giuliano, della Sicilia del dopoguerra, del Separatismo, delle lotte contadine, del banditismo, etc. Il regista si ritrova osservatore di una realtà storica  che inizia a diramare le sue verità sui legami celati e inconfessati tra la criminalità organizzata ed elementi costitutivi delle stesse istituzioni e della politica italiana,  una scenografia che vede le prime luci della Repubblica in connessione con il banditismo più efferato. Dolci scelse il regista Benvenuti perché dichiarò che la sua maniera di fare cinema era maieutico “ produceva cioè un vero parto del pensiero” con conseguente opera di coinvolgimento, e per partecipazione diretta, che riprendeva filosoficamente tali teorie, con una discesa fisica del regista nel contatto rivolto alle fonti storiografiche dei fatti prima, interpretativi , in termini registici,  poi. L'intenzione è quella di condurre lo spettatore entro la trama affilata e complessa, nonché oscura, di questa vicenda per riabilitare aspetti della sua verità storica, demolendo anni di oscurantismo  e omissione storiografica non dichiarata. Dolci si lasciò promettere che il film doveva muoversi lungo il registro della semplicità e comprensione comune, perché “Le regole della politica italiana di questo mezzo secolo sono state scritte con il sangue delle vittime di quella strage”. Una penetrante ricostruzione cinematografica dei fatti sviluppa gli ambienti carcerari in luoghi in cui isolare i protagonisti per dialoghi di svelamento crescente, scena dopo scena, in una struttura teatrale dove aprire gli ambienti, atto per atto, in maniera consequenziale e limitata negli aspetti fisici delle strutture, muovendo la sensazione di accerchiamento senza possibilità di fuga connessa alle rivelazioni durante le libere deposizioni e negli spazi processuali. Si generano interrogatori per canali visivi e comunicativi dove lo spettatore è coinvolto in una ripresa spesso oggettiva, per inquadrature strette su suoi personaggi, in particolare sul protagonista Pisciotta,  interpretato da un magistrale David Coco ( L’uomo di Vetro, L’ultimo dei Corleonesi, Giovanni Falcone)  durante i suoi colloqui dissigillanti le verità del fatto. Il regista costruisce l'apparato narrativo sulla base delle dichiarazioni di Pisciotta, entro confidenziali comunicazioni con l'avvocato (Antonio Catania), in colloqui che aprono visioni orizzontali entro inquadrature ritrattistiche sublimando gli sguardi e la gestualità del protagonista, volto iconografico di una tradizionale bellezza di quelle terre, con la carnagione saracena e i suoi sguardi penetranti e le inquietudini per natura date dal suo passato storico. La direzione della fotografia (Giovanni Battista Marras) è un’estensione tangibile della vicenda e le sue psicologie comunicanti per  contrasti chiaroscurali negli spazi e per  declinazioni verso cromie coloristiche quasi assenti, un rapporto assopito e cupo comunicante tra ambienti e persone, tra abiti e cose, avvolti come la natura di questa vicenda da un insoluto storico che penetra vivi e morti in una luttuosa moria dei colori,  una luce naturale spezzata da questo medium delle atmosfere sospese. I dettagli narrati sono spesso ritagliati come uno storyboard disegnato a matita, non per immaginazione creativa assoluta, come prevede la sua identità comunicativa, ma una lieve contraddizione significante, per non essere la rappresentazione della verità stessa, ma una rappresentazione della realtà che, contrariamente, con l'uso di attori avrebbe creato un equivoco, con la presunzione di proporre certezze assolute mediante ricostruzioni cinematografiche. Ricostruzioni proposte diversamente allo spettatore come un documento per immagini imprimibili nella memoria, scalzando l'elaborazione di innumerevoli fascicoli documentati rimasti secretati in parte ancora oggi (documenti originali sono stati utilizzati durate le riprese di alcune scene del film). Forme alternative di messa in scena, come l'analisi della vicenda sui movimenti del plastico di quel luogo, le sigarette di Cacaova, le carte allineate nella ricostruzione logica dei fatti e la loro fragilità di dispersione, sino agli oggetti dello stesso professore (Sergio Graziani). La metafora del vulcano è utilizzata per indicare un percorso dissestato per depistaggi e dichiarazioni fallaci, per  la complessità del percorso verso la cima, celante per natura stessa del magma che si consegna in evoluzione a una possibile esplosione, al fuoco, ai lapilli, una deflagrazione naturale delle verità e dei fatti che discendono, fluttuando a terra, con le sue vittime. Questa è la struttura portante dell'opera cinematografica di B., senza nessuna pretesa di realismo, ma sviluppando sensibilmente il profilo riflessivo e di ricostruzione dei fatti, per stazioni di un itinerario logico, per mostrare una ricostruzione alternativa della vicenda. Ogni personaggio, in un movimento corale, è atto ad essere elemento funzionale per mantenere viva e costante il percorso consequenziale delle sue domande e risposte, per dichiarare espressamente l'inclinazione del film, un film sull'interpretazione e sul pensiero, generando una discussione intima dentro lo spettatore e la capacità critica di demolire alcune certezze acquisite in questo tempo, e sulla vicenda.

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