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R Recensione

8/10

Rush regia di Ron Howard

Drammatico
recensione di Erika Sdravato

Durante gli anni settanta, nella cosiddetta epoca d'oro della Formula 1, esplode la grande rivalità  sportiva tra i piloti più forti del momento, James Hunt e Niki Lauda. I due, che si danno battaglia fin dai tempi della Formula 3, non potrebbero essere più diversi: l'inglese è un ragazzo estroverso ed affascinante, sempre a caccia di divertimento e belle donne; l'austriaco è invece un tipo introverso e riservato, dedito in maniera scrupolosa alla sua professione. La loro rivalità  raggiunge il culmine nella stagione 1976, quando tra mille rischi e pericoli, Hunt tenta di strappare con la McLaren la corona di campione del mondo a Lauda, a sua volta alla ricerca del bis iridato con la Ferrari. Neanche il catastrofico incidente avvenuto al Nürburgring Nordschleife durante il Gran Premio di Germania, in cui Niki rischia di perdere la vita, riesce a fermare questa accesa sfida, che ha il suo epilogo nell'ultima prova del campionato, il Gran Premio del Giappone a Fuji, sotto una pioggia battente.

Come l'Everest e l'Oceano Pacifico. Come il nero e il bianco. Come il ghiaccio e il fuoco. Come Hitchcock e Nolan. Come l'eclissi e il tramonto. Come il karkadè e la vodka. Come la Austen e Carroll. Così James Hunt e Niki Lauda. Loro, i meravigliosi protagonisti di Rush e del decennio Settanta per quanto riguarda i motori. Loro, i due personaggi antitetici che reggono e formano l'ossatura di questo biopic. Si tratta di un film con una fotografia e dei movimenti di macchina molto puliti, una durata quasi canonica per il genere (123min.) ma caratterizzata da scorrevolezza e ritmo, un nucleo di emozioni che convergono tutte attorno ad un unico polo: la rivalità  tra Hunt e Lauda. La storia è conosciuta dai più come una vicissitudine prevedibile di rimonte, rincorse, riprese, superamenti, sorrisi a denti stretti e parolacce. Oltre a questo, però, c'è dell'altro: lo sport e l'impegno agonistico cedono il passo ad un'umanità  vera, a uomini opposti e complementari, differenti sotto qualsiasi aspetto, squisitamente incapaci di vivere l'uno all'ombra dell'altro, caparbi entrambi quanto basta per meritarsi la stima dei loro fan di pista, ai tempi, e di questo pubblico da sala, ora. In Rush non esiste il buono o il cattivo, quanto invece due mo(n)di - ciascuno perseguibile e legittimo - di vivere la propria esistenza. E così nella stagione 1976 raggiungiamo Chris Hemsworth (J. Hunt) e  Daniel Brühl (N. Lauda), perfettamente calati dentro i caschi degli originali. Sarà  l'autentico desiderio di giungere al successo a trionfare, in un film in cui non esistono nè vincitori nè vinti sotto il profilo morale ma dove si vive "solo" l'ostinazione di guardare in faccia il pericolo (e la morte), chi seduti dietro un volante e chi su una poltroncina rossa. Se memorabili sono le musiche di Hans Zimmer e l'interpretazione dei rivali nonchè del nostro Favino (C. Regazzoni), bellissimi, infine, sono i ralenty in dettaglio (come quelli girati per il funzionamento dei pistoni automobilistici) e straordinariamente accattivante (dimenticando per un attimo la sua cadutaccia in Passioni e Desideri, diretto da Meirelles) la sceneggiatura di Peter Morgan (L'ultimo re di Scozia, La regina). Consigliato: a tutti coloro che intendono avvicinarsi al mondo della Formula 1 e a chi, invece, desidera gustarsi un Ron Howard (attivo dal lontano '69 e ricordato soprattutto per A beautiful mind, Cinderella Man, Il codice Da Vinci, Angeli e Demoni) come al solito classicheggiante ma non per questo meno incisivo.

V Voti

Voto degli utenti: 7,6/10 in media su 9 voti.

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