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8/10

La Signora Del Venerdi regia di Howard Hawks

Commedia
recensione di Antonio Falcone

Una didascalia ci introduce alla vicenda narrata come fosse una fiaba d’altri tempi, un “c’era una volta” legato al “medioevo del giornalismo, quando un reporter al seguito di una storia per fare il colpo era disposto a tutto, eccetto l’omicidio. In ogni modo, in questo film non troverete alcuna somiglianza con gli uomini e le donne della stampa di oggi”.

La giornalista Hildy Johnson (Rosalind Russell) entra nella sede del Morning Post, insieme al suo futuro sposo, Bruce Baldwin (Ralph Bellamy), un assicuratore premuroso e gentile, cui chiede di attenderla mentre lei si reca in redazione, verso l’ufficio del “re dell’universo”, il direttore Walter Burns (Cary Grant), suo ex marito, giusto il tempo di comunicargli l’imminente matrimonio e la volontà di abbandonare la professione, orientata ormai verso un futuro tutto casa e famiglia.

Incassate le ferali notizie con malcelato savoir- faire, Walter, uomo dai modi abbastanza spicci, fortemente attaccato al proprio lavoro, un po’ volpe e un po’ serpe, s’ insinuerà nei progetti dei due piccioncini, sfruttando il caso di un imminente condannato a morte, Earl Williams (John Qualen), reo di aver sparato ad un poliziotto di colore dopo aver perso il posto di lavoro (ma, soprattutto, sospettato di probabili “simpatie rosse”) e che sceriffo e sindaco, alla vigilia della scadenza dei rispettivi mandati, non vedono l’ora d’inviare sulla forca. Eh, già, Walter ha visto giusto, Hildy è pur sempre una giornalista …

Secondo film tratto dalla commedia teatrale The Front Page (1928), scritta da Charles MacArthur e Ben Hecht, dopo la prima trasposizione del 1931 ad opera di Lewis Milestone che ne riprendeva il titolo, La signora del venerdì si delinea come una screwball comedy caratterizzata in primo luogo da un’ottima sceneggiatura (Charles Lederer), dai dialoghi frizzanti ed incredibilmente veloci, assecondata con eleganza dal regista Howard Hawks nel rispetto dell’impianto derivativo d’origine, esaltando con efficaci primi piani e studiati movimenti di macchina la splendida resa scenica dei due protagonisti principali, Cary Grant e Rosalind Russell. La felice intuizione in fase di scrittura, dovuta allo stesso Hawks, è stata quella di trasformare il personaggio del testo originario da maschile a femminile, interpretato per l’appunto dalla Russell, dando vita alla classica “battaglia dei sessi”, la quale assume una dimensione reale grazie ai sapidi battibecchi, senza dimenticare l’acre satira al potere costituito e al mondo del giornalismo, facendone risaltare, impietosamente, ogni cinico gioco opportunistico messo in campo per preservarsi, rispettivamente, un posto sugli alti scranni e i titoli cubitali urlati in prima pagina.

In una struttura essenzialmente teatrale, caratterizzata dall’assenza della colonna sonora (è presente nei titoli di testa e di coda, prendendo il via al riguardo con un accenno nel finale), sostituita dall’efficace ritmicità e musicalità dei dialoghi, Hawks dirige con maestria (la carrellata che accompagna l’ingresso di Hildy in redazione) ed eleganza formale (la scena al ristorante), ponendo particolare attenzione al serrato scambio di battute, spesso al vetriolo, sia fra i vari personaggi, come le chiacchiere dei giornalisti che giocano a poker in attesa dell’esecuzione nella sala stampa del tribunale, o i colloqui tra sindaco, sceriffo e l’esperto nella valutazione psichiatrica (senza dimenticare la circuizione messa in opera dal primo verso il messo del governatore che porta la lettera in cui si comunica la sospensione della condanna), sia, in particolare tra i due protagonisti, i quali palesano caratteri che, pur nelle differenze, si rivelano in fondo similari. Anche Hildy, infatti, è profondamente legata al lavoro, ma a differenza di Walter, unisce alla fermezza una certa sensibilità, che sa rendere funzionale alla professione (esemplare al riguardo la modalità con la quale riesce a ricostruire intorno ad Earl, convincendolo, la definitiva visione di come si siano svolti i fatti), offrendo un tocco d’umanità, pur lieve. Domina, infatti, la sarcastica e disillusa visione del mondo propria di un autore come Hawks, dove cinismo ed opportunismo si stringono la mano per dar vita ad un’alleanza proficua, in particolare ove vi siano persone capaci di far volgere qualsivoglia evento a loro favore, anche sotto il velo di nobili ideali, quali smascherare la corruzione nell’ambito dell’amministrazione della giustizia.

Il “caso Earl Williams” diviene l’emblema del destino di tanti altri individui che, vuoi per ingenuità (il personaggio di Molly, la donna che ha accolto in amicizia Earl dopo la sparatoria, al centro di un romanzetto rosa creato dai giornalisti), vuoi per una sorta di adamantina purezza (l’assicuratore Bruce non ha scampo in confronto a Walter) si troveranno sempre in balia del potere, pur forti di una loro integrità morale. Lo stesso apparente happy end, nel riportare il trionfo del giornalismo d’inchiesta sulla corruzione, con le istituzioni messe alle strette ma pronte al voltagabbana più spudorato, e un tocco di romanticismo, sembra essere nient’altro che una breve pausa, in attesa di un nuovo evento atto a mettere in scena un’identica situazione, magari con personaggi e storie diverse, ma eguale modalità di svolgimento, riportando così al beffardo “c’era una volta” iniziale.

Da segnalare la bella versione offerta da Billy Wilder nel ’74 (The Front Page, Prima pagina), che si rifà alla commedia originaria, con Walther Matthau e Jack Lemmon nei panni, rispettivamente, di Burns ed Hildy, e il remake dell’87, Cambio marito (Switching Channels, Ted Kotcheff), onesto ma inutile, protagonisti Burt Reynolds e Kathleen Turner, il quale aggiorna la vicenda, ambientandola all’interno di un’emittente televisiva.

 

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