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7/10

Into the Woods regia di Rob Marshall

Musicale
recensione di Fabio Secchi Frau

Un fornaio e sua moglie desiderano ardentemente diventare genitori. Purtroppo, la sola e unica maniera per vedere il loro desiderio esaudito sarà quello di seguire gli ordini di una strega loro vicina di casa e andare nella foresta alla ricerca di quattro importanti ingredienti che serviranno alla maga per preparare una pozione: una mucca bianca come il latte; una mantella rossa come il sangue; capelli biondi come il grano; e una scarpetta pura come l'oro. Incrociando le fiabe di Cappuccetto Rosso, Jack e la pianta di fagioli, Raperonzolo e Cenerentola, i due tentano l'impossibile prima della terza luna blu... Ma sarà veramente un lieto fine?

 

Con Into the Woods, Rob Marshall, regista di altri due musical, Chicago (2002) e Nine (2009), si spinge in una dimensione recentemente abusata da parte del cinema ma, anche conosciuta da gran parte degli spettatori mondiali contemporanei, anche non di musical, dove il realismo e il fiabesco si rincorrono provocando variazioni rilevanti, pur dando la netta sensazione di una rinvenuta “classicità” hollywoodiana.

Nel proporci un racconto morale sul “pericolo di ciò che desideriamo”, le singole performances e la struttura d’insieme (divisa in due parti ben distinte, una prima e una dopo del vissero per sempre felici e contenti) cooperano perfettamente secondo canoni al contempo classici e postmoderni. Ma il modello di riferimento, questa volta, è la commedia-drammatica alla Altman, dai ritmi precisi e dai dialoghi ritmici e pungenti, basata sullo scontro/incontro dei personaggi, condita da equivoci, mascheramenti (reali o psicologici) e intrighi.

La storia ha come protagonisti un gruppo di adorabili "dreamers". Abbiamo la coppia di simpatici e goffi fornai che vorrebbero diventare genitori, una insicura Cenerentola, uno stupido Jack che continua a dare del “lui” alla loro mucca che poi venderà per dei fagioli magici e una ingorda Cappuccetto Rosso, destinati a incontrarsi nella foresta, dove una strega aspetta di poter avere da loro gli ingredienti necessari per una pozione che la farà ritornare bellissima. Naturalmente, non prima di aver risolto una serie di inconvenienti e aver alfine dimostrato che il lieto fine non è un lieto fine.

Una stoccata finale ferocissima riservata al pubblico che non si aspetterà minimamente di vedere sconvolte le carte in tavola di alcune delle sue fiabe preferite.

Il regista regala forse il momento più elaborato e toccante a Emily Blunt, nelle vesti della moglie del fornaio, sul finire delle sue scene, proprio quando tutto ciò che credeva di volere viene messo in discussione, risvegliando un assopito nuovo desiderio. Mentre un oscuro flashback è affidato alla strega Meryl Streep, nel raccontare come la sua bellezza sia stata maledetta da un furto magico. Entrambe, esprimendosi spesso soltanto a gesti, e non solo con la loro voce, dimostrano di saper conoscere ogni regola per poter comunicare le più sottili e profonde emozioni con un semplice sguardo o un movimento del corpo.

Ma bisogna ammettere che tutta la giostra di attori è impeccabile e Rob Mashall appare a suo agio nello scivolare all’interno della vicenda principale e delle sue tante diramazioni collaterali come nel mantenere l’equilibrio, nel ritmare la sequenza di numeri musicali e nell’assegnare le luci giuste alle scene, tanto da trasformare questo spettacolo di grande complessità - con movimento di macchina perfettamente rispondenti al contenuto delle sequenze – in un quasi cartoon.

Insomma, l’idea che il rapporto col grande cinema disneyano possa essere così aderente alla crudezza della realtà, privandosi lì dove è possibile di polverose melensaggini (di cui loro stessi sono stati autori), seduce e rassicura sul destino della “Mouse Factory”.

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