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6/10

Io Sono Un Autarchico regia di Nanni Moretti

Commedia
recensione di Alessandro Pascale

Michele, che vive in un appartamento romano e viene mantenuto economicamente dal padre, dopo essere stato abbandonato dalla moglie insieme al figlio Andrea, occupa il suo tempo recitando in una compagnia teatrale sperimentale sotto la direzione artistica dell'amico Fabio. Fra le varie vicende, il gruppo teatrale si avventura in una poco piacevole esperienza di "training" in collina, dalla quale alcuni non ritorneranno.

Il racconto prosegue intorno alla messa in scena dello spettacolo, alternata alle vicende personali di Michele, che passa il tempo con il figlio cercando di riallacciare il rapporto con Silvia, di Fabio che cerca disperatamente di contattare un critico teatrale per la prima della commedia e degli altri componenti della compagnia. Alla fine, lo spettacolo viene messo in scena, e il critico teatrale lo commenta parlando di tutto tranne che della trama.

Dopo varie repliche che vedono il pubblico progressivamente diminuire, il film termina con le scene di Michele e la moglie che si lasciano definitivamente, e di Fabio che viene abbandonato dal pubblico dopo un inutile tentativo di aprire un dibattito con gli spettatori.

 

L'opera prima di Nanni Moretti fa un po' di tenerezza vista oggi, sia per il percorso successivo dell'autore, sia per l'evoluzione (o involuzione, a seconda dei pareri) della società odierna. Eppure proprio per questo l'opera appare interessante per la sua capacità di presentare alcune delle caratteristiche principali del cinema morettiano, oltre che per la sua spietatezza nella dissacrante rappresentazione di quella generazione post-sessantottina alle prese con il “che fare da grandi”.

In primo luogo viene messa in scena la costante rappresentazione dell'anticonformismo: un'attitudine ora sbeffeggiata esplicitamente dall'autore attraverso messe in scena comico-surreali, ora convinta espressione della volontà morettiana di eliminare ogni mostro sacro e autoreferenzialità dell'intellighenzia della sinistra italiana. È una doppia battaglia quella combattuta da Moretti: quella contro il canonico ordinario quotidiano (la Wertmuller...), così ingiustamente elogiato e premiato, e quella contro tutto ciò che puzza di vecchio ed è incapace di essere compreso dalle nuove generazioni (la critica dotta, il Capitale...). In mezzo qualche spernacchiata a Moravia un po' irriverente, un po' esorcizzante, specchio di una generazione allo stesso tempo insicura e bisognosa dell'approvazione di quegli stessi vecchi che bistratta.

Il tema della comunicazione mancata, che si riflette nella difficoltà di creare legami sociali ed emotivi stabili, si estende poi a tutta l'opera: la separazione tra Michele (Moretti) e la moglie è l'esempio più lampante, ma la metafora perfetta viene resa nella necessità di svolgere un'escursione di qualche giorno per creare quel necessario “amalgama” a creare un gruppo affiatato di attori. Questo amalgama non solo non viene raggiunto ma crea simbolicamente delle “vittime” incapaci di adeguarsi a tali richieste di uscire dalla propria individualità per creare un progetto comune.

Facile quindi il gioco di rappresentare l'individuo stanco, annoiato, pigro, incapace di emozioni ed atti forti (e reali, vien da dire...), come di intrattenere un'azione (o conversazione) lunga e ragionata su qualsiasi tema. Da questo punto di vista l'acume di Moretti nel rappresentare l'avvento di quella che Bauman chiamerà “società liquida” (e che in Italia verrà volgarmente ridefinito “berlusconismo”) è mirabile. Non altrettanto brillante è la modalità con cui questo racconto viene impostato. Bisogna certo considerare che tale opera è stata girata con mezzi assolutamente scarsissimi, in presa diretta e in Super8.

Ma pur considerando benevolmente l'assenza di una regia e di una fotografia degne di nota, così come l'eccessivo dilettantismo di una parte consistente del cast, non si possono non constatare diverse pecche in un soggetto e in una sceneggiatura eccessivamente anarchici, confusi e spesso inconcludenti. Troppe le pause a vuoto. Troppe le pretenziosità intellettuali. Troppa la volontà di voler essere i primi della classe. Difetti che sono storici in Moretti, ma che nella povertà di mezzi della storia e della narrazione risaltano in maniera forse troppo poco generosa allo spettatore moderno.

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