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7/10

Debtocracy regia di Aris Hatzistefanou

Documentario
recensione di Alessandro Pascale

Debtocracy cerca le cause della crisi provocata dal debito pubblico e propone soluzioni che non vengono prese in considerazione dal governo e dai media dominanti. L'analisi fa ampio ricorso alle esperienze storiche di Ecuador e Argentina, paesi che in tempi recenti sono riusciti ad uscire dalle morse della finanza internazionale (incarnata dalle politiche liberiste del Fondo Monetario Europeo e della Banca Mondiale) per attuare politiche a beneficio del popolo.

Debtocracy è ovviamente molto più di un semplice documentario a sfondo economico. È piuttosto un radicale atto politico sovversivo che mette in discussione una modalità di uscire dalla crisi economica che tende a far ricadere tutte le colpe soltanto sui soliti noti (lavoratori, pensionati, giovani, proletari, ecc.) perpetuando ed anzi esasperando un sistema sociale sempre più gerarchico, ingiusto e diseguale.

Un documentario potente perchè in pochissimo tempo tale opera è stata vista da centinaia di migliaia di persone grazie alla sua distribuzione libera e gratuita su un sito e su youtube, rapidamente doppiato in diverse lingue tra cui anche l'italiano.

Oltre ad essere però una dichiarazione di guerra ai potenti e corrotti da parte di due giornalisti (Katerina Kitidi e Aris Hatzistefanou) che hanno investito tutti i loro risparmi nell'opera, Debtocracy è però anche un film, e come tale merita un paio di considerazioni. La più banale: nonostante il tema complesso e spinoso l'opera non annoia, anzi appassiona sia per la sua modalità narrativa e cronachistica dettagliata ma accessibile a chiunque, grazie a spiegazioni di concetti complessi con pazienza e precisione. Il fine, è ovvio, è quello di raggiungere lo strato più ampio possibile di quel popolo che si ritrova a subire la crisi e i provvedimenti politici di contorno.

Il taglio rimane ciò nonostante scientifico e professionale, con l'intervento di economisti, intellettuali, filosofi, giornalisti e attivisti di ogni tipo (Alain Badiou, David Harvey, Samir Amin, e tanti altri), le cui interviste sono intervallate sapientemente con una serie di immagini di repertorio e di riprese originali. L'effetto è avvincente, e seppure non raggiunge i livelli estetici (e si badi che si fa il confronto solo su quelli estetici!) di un film-doc diventato famoso (nell'underground ma non solo) come Zeitgeist, poco ci manca, riuscendo nonostante ciò a spiegare le storture del capitalismo con serietà e metodo critico. Non si può non pensare a cosa avrebbero potuto realizzare Papastathis e Psaila se avessero avuto le risorse economiche di cui può disporre un Michael Moore...

Per avere quei soldi però probabilmente i due autori del doc avrebbero dovuto sottostare ad una serie di condizioni che avrebbero indebolito “l'atto politico” dell'opera, smorzandone i contenuti, rendendone impossibile la distribuzione gratuita o indebolendo il legame con la base sociale degli “indignati” che l'hanno sostenuto tramite sottoscrizioni volontarie. Insomma Debtocracy avrebbe perso la sua indipendenza nel momento in cui i greci più di ogni altra cosa ambiscono proprio a parole libere, indipendenti e popolari. Avanti così allora, e che la resistenza continui.

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