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R Recensione

8/10

Teza regia di Haile Gerima

Drammatico
recensione di Narda Liotine

Dopo aver trascorso vent’anni in Germania fra studi di medicina e attivismo politico Anberber torna dalla sua famiglia, in Etiopia, un paese ormai sconvolto dalla dittatura socialista di Haile Mariam Mengitsu. Il sogno di aiutare la sua gente che lo aveva condotto in Europa sembra essersi tramutato in un incubo da cui riuscirà, non senza sforzo, a svegliarsi .

Teza è un film che ci saremmo aspettati di godere nella poltroncina sempre troppo scomoda di una rassegna estiva, in una sala d’essay (e d’essay pare la distribuzione per quant’è frammentaria, trenta copie in tutta la penisola), nella quasi perfetta solitudine intellettuale. Invece, complice la vittoria sfiorata a Venezia dove ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria e l’Osella per la Migliore Sceneggiatura, l’ultima opera di Haile Gerima giunge meravigliosamente nelle sale italiane dopo aver girato i festival di mezzo mondo e aver mietuto premi per ogni dove.

L’attenzione del regista etiope per le tematiche del suo paese ne hanno fatto, negli anni, un modello imprescindibile per i cineasti del continente africano e un faro per quanti volessero conoscere le radici storiche e culturali di uno Stato tanto tormentato. Haile Gerima fa cinema -sembra quasi che ne avverta l’urgenza- quando gli eventi prendono a tralignare nel dramma dell’assurdo, una consuetudine che non sembra averlo mai abbandonato e che si ripropone prepotentemente nella disperata epopea di Anberber, l’intellettuale etiope tormentato da un passato doloroso e da un presente che sembra implorare aiuto.

Le frequentissime sgraffiature sulla pellicola, frutto di un passaggio da supporto a supporto non proprio ortodosso, smettono di distrarre dopo pochi minuti, quando ad incantare l’occhio giunge il colore terroso della fotografia genuina simile ad un inconsueto richiamo. Il segreto narrativo del film, del suo vagare diviso tra realtà e sogno, oggettività e allucinazione sembra risiedere nella“rugiada mattutina” del titolo tratto da una cantilena in lingua aramaica; appunto questo incedere lento e cadenzato della pellicola, divisa tra passato e presente, che irretisce e coinvolge in un intreccio fatto di costumi ed eventi nazionali, che impedisce alla finzione di violare la realtà dei fatti.

Nell’Etiopia straziata dalla guerra, tra ricordi dolorosi e di felicità effimera Anberber intraprende il suo cammino verso casa durante il quale comprenderà che né i precetti né l’ideologia politica coltivate in Germania possono salvare le sorti della sua terra. I disordini del suo paese, la miseria e l’analfabetismo, i bambini soldato dati in pasto ai giganti della guerra, le tradizioni feroci e la superstizione che corrompono l’Etiopia impediscono all’uomo di riadattarsi e lo relegano in una condizione di insofferenza, che cogliamo nello sguardo incredulo rivolto alla vecchia madre che si trascina sul selciato per ringraziare gli dei del suo ritorno, lo stesso sguardo afflitto che la donna avrà per lui quando scoprirà la gamba amputata.

Le conoscenze apprese in Occidente, gli ideali politici che solo pochi anni prima lo animavano di inestinguibile vigore, non possono nulla contro l’alienazione di cui Anberber sembra essere rimasto vittima. Sarà un rito pagano, un lavacro gelido che sa di ritorno alla vita, a scuoterlo. Nei 140’ della storia di Anberber vediamo il suo presente, ne intendiamo il triste passato e scorgiamo lo speranzoso futuro come attraverso un processo inevitabile e totalizzante di morte e risurrezione che sembra racchiudere nel risveglio dal lungo incubo del protagonista le sorti della popolazione migrante del mondo e di quella in guerra. Un discorso per immagini d’ampio respiro, quello condotto da Gerima, che all’emarginazione violenta degli immigrati in Germania fa corrispondere l’isolamento di ragazzi spauriti, poco più che bambini, chiamati a combattere per la causa dei grandi.

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 3 voti.
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alexmn 7/10

C Commenti

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SanteCaserio (ha votato 7 questo film) alle 8:39 del 19 gennaio 2010 ha scritto:

Citando Ho Chi Minh

“Marx ha costruito la sua dottrina su di una certa filosofia della Storia. Ma quale Storia? Quella dell’Europa. Ma che cos’è l’Europa? Solo una parte dell’Umanità” (Ho Chi Minh). Una riflessione ampia, che lascia una sensazione di incompletezza e forse si perde a tratti, concentrando in una vicenda umana quella di un intero Paese. Sul fronte politico si finisce per rivalutare il Negus, mentre quello intellettuale è il più efficace. Onirico. In effetti visto qualche giorno fa come riproposta di un cinema d'essay!