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10/10

Music Box - Prova d'Accusa regia di Costa-Gavras

Drammatico
recensione di Gabriele Repaci

Mike Laszlo (Armin Mueller-Stahl), cittadino ungherese naturalizzato americano, padre e cittadino esemplare viene accusato di essere un criminale di guerra nazista dal governo degli Stati Uniti che minaccia di rimandarlo nell’allora Ungheria comunista dove verrebbe senza dubbio giustiziato. Ne assumerà la difesa in ambito processuale la figlia Ann Talbot (Jessica Lange), affermato avvocato di Chicago.

Ispirato ad un fatto realmente accaduto ovvero il processo a John Demjanuk, immigrato ucraino che dopo aver lavorato per diversi anni nella città di Cleveland come operaio in una fabbrica d’auto venne accusato di essere il famigerato «boia di Sobibor» complice del massacro di 28.000 ebrei durante il secondo conflitto mondiale,  Music Box di Costa-Gavras unisce magistralmente dramma giudiziario, thriller e melodramma familiare in un film dal profondo significato politico. Il regista greco già noto per pellicole di forte denuncia sociale come Z – L’orgia del potere  (1969) basato sulla storia dell’omicidio di Grigoris Lambrakis, parlamentare della Sinistra Democratica Unita (EDA), da parte di gruppi parastatali di destra legati ad ambienti militari nella Grecia degli anni sessanta, L’Amerikano (1973) che parla del sequestro e dell’uccisione dell’agente CIA e consigliere di varie dittature sudamericane Dan Mitrione da parte del gruppo guerrigliero uruguayano Tupamaros e Missing (1982) ambientato nel Cile all’indomani del golpe del Generale Pinochet vuole mettere in luce una scomoda verità cioè il fatto che dopo la Seconda Guerra Mondiale l’Occidente e gli Stati Uniti in particolare si servirono di esponenti del defunto regime nazista nella loro crociata contro l’Unione Sovietica e il comunismo. Autentici criminali di guerra come il «boia di Lione» Klaus Barbie o Reinhard Gehlen ricevettero protezione da parte dei servizi segreti americani come riconoscimento al contributo dato nella lotta contro il bolscevismo. Una piccola precisazione di natura storica: non è corretto affermare come viene fatto nel film che le Croci Frecciate (Nyilaskereszt) siano state «uno squadrone della morte ungherese organizzato dalle SS tedesche». Esse in realtà furono un vero e proprio partito politico di ispirazione nazi-fascista sorto Ungheria negli anni ’30 del Novecento per volontà di Ferenc Szálasi, un capitano di stato maggiore vicino a Gyula Gömbös, primo ministro dal 1932 e fautore della fascistizzazione dell’Ungheria.  Il movimento di Szálasi si proponeva fra i suoi obiettivi la trasformazione delle strutture dello stato ungherese  mediante l’instaurazione di un regime totalitario, poggiante sul corporativismo e diretto ad un tempo contro il capitalismo e il comunismo. Arrestato nel febbraio del 1938, il leader delle Croci Frecciate venne liberato da Hitler nell’ottobre del 1944 e messo a capo del governo di Budapest dopo l’incarcerazione del reggente Miklos Horty che aveva tentato di negoziare un armistizio separato con l’Urss. Nonostante a Szálasi sia mancato il tempo di costruire in Ungheria un compiuto regime modellato su quello nazionalsocialista, egli avanzò a grandi passi sulla via della nazificazione del paese, contribuendo alla fase finale dello sterminio della comunità ebraica ungherese che già sotto Horthy aveva dovuto subire pesanti discriminazioni. Nell’aprile del 1945, crollato il governo delle Croci Frecciate, Szálasi si rifugiò in Germania per sottrarsi all’avanzata sovietica. Consegnato alle nuove autorità ungheresi dopo la fine del conflitto, venne giustiziato nel 1946 insieme a parecchi suoi ministri.

La cosa curiosa che probabilmente ha anche parzialmente ispirato la storia narrata nel film è che lo sceneggiatore Joe Eszterhas, che sarebbe di li a poco divenuto celebre per Basic Instinct, scoprì che suo padre il Conte István Esterházy, nascose per lungo tempo il suo coinvolgimento durante la guerra nel Partito delle Croci Frecciate in Ungheria. Dopo tale scoperta Eszterhas recise tutti i legami con il padre fino all’avvenuta morte di quest’ultimo.

Al di la del contenuto politico la pellicola di Costa-Gavras si configura come un’indagine sul significato del bene e del male e del rapporto fra genitori e figli. Può infatti una persona come l’imputato Mike Laszlo, impersonato dall’attore tedesco Armin Mueller-Stahl, onesto lavoratore che ha cresciuto da solo due figli, uno dei quali reduce del Vietnam, essere nel contempo uno spietato assassino? Quanto possiamo dire di sapere in realtà dei nostri genitori? Fino a che punto siamo disposti ad arrivare per proteggere coloro che amiamo?

La figlia Ann, interpretata da una magistrale Jessica Lange che per questo ruolo ha ricevuto il Golden Globe e una nomination all’Oscar, crede di conoscere perfettamente l’uomo che l’ha allevata tuttavia le sue certezze iniziano a vacillare mano a mano che il dibattito processuale va avanti. D’altra parte il padre si rende conto che il mondo che aveva creato intorno a se sta crollando e che anche sua figlia pensa che egli sia colpevole.

Il colpo di scena finale spiazza definitivamente lo spettatore che vede infrangersi in un sol colpo, nella stessa maniera della protagonista, tutti i suoi convincimenti.

Quello che possiamo dedurre dalla visione di questo film è che i confini del bene e del male non sono sempre così chiari anzi molte volte sono piuttosto labili e che forse anche i «mostri» possono essere capaci  alle volte di provare dei sentimenti umani.

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