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8/10

Cul-de-Sac regia di Roman Polanski

Drammatico
recensione di Alessandro Giovannini

Due balordi si rifugiano, dopo un colpo finito male, in un maniero isolato (che con l'alta marea rimane circondato dall'acqua) un tempo di proprietà di un famoso scrittore, ora dimora di una coppia borghese. Uno dei due criminali è ferito mortalmente, così il burbero compagno Dickie (Lionel Stander, ottimo) si fa carico di badare a lui e chiamare il loro capo per richiedere soccorso. Dickie mette subito in riga il patetico uomo di casa, George (Donald Pleasance), che peraltro è denigrato persino dalla sensuale moglie Teresa (Francoise Dorléac). Tra i tre inizia un perverso gioco di equilibri di potere e di forze che si risolve in un finale allucinato.

Dopo il promettente esordio, Polanski emigra in Francia (che nel 1975 gli conferirà la cittadinanza). La sua parentesi registica in questo paese è però irrisoria, limitata a qualche corto ed un episodio del film Le più belle truffe del mondo (1964). Poco dopo si trasferisce quindi in Inghilterra, dove la collaborazione con Gérard Brach (1927-2006), sceneggiatore e regista che ha collaborato anche con Jean-Jacques Annaud, darà origine a tre film. Cul-de-sac è il secondo del lotto. Fra i primi film di Polanski è quello più paradigmatico del suo personalissimo stile: vi compaiono molti degli elementi del suo cinema precedente (e futuro), conditi con una dose di umorismo nero che è il marchio di fabbrica del regista polacco.

Come spesso accade nei suoi film, la vicenda avviene in un luogo isolato (un vicolo cieco, appunto) circondato dal mare (elemento presente in tante pellicole polanskiane); l'astrazione dell'ambientazione e della storia è quindi il tramite attraverso cui Polanski descrive le psicologie dei suoi personaggi ed i modi (bruschi, nervosi, eccessivi) con cui essi interagiscono. Riporto per dovere di cronaca come sia stato fatto notare che l'impostazione del film richiami alcuni temi e concept di opere teatrali di Beckett e Pinter, ma non mi cimenterò in un'analisi di tale tipo perchè di teatro, lo ammetto, so molto poco.

Proprio come ne Il coltello nell'acqua, tutto ruota attorno ad un triangolo, che vede i due uomini "contendersi" le attenzioni della donna, oggetto del desiderio per eccellenza e quindi tentatrice, crudele, fredda ed irraggiungibile (nessuno la "conquista" alla fine); tutto il film è un muoversi vorticoso dei personaggi (simile a quello dei numerosi pennuti che popolano l'isolotto) alla ricerca di qualcosa che nemmeno loro sanno, intrappolati in una situazione (la vita stessa?) che non concede una via di fuga dal cul-de-sac (il capo dei banditi che non arriva mai).

Fa parte della vena grottesca di Polanski, che il regista sfoggia di tanto in tanto travestendo il Male (suo argomento prediletto) da scherzo satirico e cinico, da caustica anarchia rivoluzionaria, mentre sotto ridolini e goliardie si cela il buio più buio. Girato in uno splendido bianco-nero che rende la vicenda ancor più astratta e simbolica, è un gran film che unisce in un colpo solo molti dei pregi del cinema polanskiano. Da vedere.

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