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R Recensione

5/10

L'Amore Dura Tre Anni regia di Frédéric Beigbeder

Commedia romantica
recensione di Fabrizia Malgieri

Marc Marronier è un critico letterario di giorno e un cronista mondano di sera con una visione disincantata dell'amore. Dopo la fine del suo matrimonio, durato appena tre anni,  Marc decide di scrivere un libro cinico nei confronti del tema amoroso. Ma nonostante questo, Marc non può evitare di innamorarsi della splendida Alice.

Vive la France, et vive l’amour. Tratto dall’omonimo romanzo di Frédéric Beigbeder (che firma anche la regia della pellicola), L’amore dura tre anni è una riflessione bittersweet nei confronti della tematica amorosa. L’apparente visione cinica e disincantata del suo protagonista, Marc (Gaspard Proust), riflette una condizione che accomuna la maggior parte dei trentenni attuali: innamorati di un concetto di amore forse un po’ troppo sopra le righe, agoniato e mai appagato (che perfettamente si coniuga con la sua predilezione per il noto compositore di colonne sonore Michel Legrand, da tagliarsi le vene), Marc è specchio di una condizione di disillusione forzata, che sotto certi aspetti risulta anche un po’ (tanto)infantile. Ma in realtà, questa maledizione da sindrome di Peter Pan , aspetto che pervade un po’ tutta la pellicola , è declinata in quasi tutti i suoi personaggi : pensiamo alla stessa Alice (Louise Bourgoin), capricciosa e volubile; all’indomabile e sciupa femmine Jean-Georges (Joey Starr, che fa quasi a pugni con il personaggio interpretato in Polisse di Marween LeBesco), ecc. Eppure la presa di posizione dello stesso autore non risulta mai troppo chiara, tanto da portarci a formulare la seguente domanda: il regista  appoggia o si prende gioco delle sue marionette-attori? Il finale del film potrebbe confermare la seconda posizione.

L’amore dura tre anni riflette l’indubbia inclinazione del cinema francese contemporaneo nei confronti delle commedie romantiche, in particolare quelle con risvolti dolce-amaro. Si pensi, ad esempio, al film L'Amour, c'est mieux à deux (2010) di Dominique Farrugia e Arnaud Lemort – in Italia distribuito solo dal circuito delle pay-tv – o ad una pellicola deliziosa come Cliente (2008) della regista Josiane Balasko, presentata nel corso della terza edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.  Anche in questo caso, seppur con una trama completamente diversa, la riflessione sull’amore parte ancora una volta da una condizione di inappagamento, di insoddisfazione, di aridità interiore. Riusciremo mai a scamparla?

Non basta tuttavia appoggiarsi al surrealismo di alcune sequenze (in particolare, quelle relative ai pensieri sconclusionati di Marc) o all’utilizzo, per quanto brillante, di Aftereffect. L’amore dura tre anni inciampa spesso nel già visto: la sua suddivisione in capitoli, ad esempio, non si allontana da alcune commedie “manualistiche” che tanto appassionano il nostro Paese (riferimenti a film e autori del tutto casuale!) e, alla luce di quanto analizzato prima, anche leitmotiv del film non brilla per originalità. È evidente che se da una parte dialoghi brillanti e battute al vetriolo sostengono il ritmo del film strappando ben più di una risata, dall’altra la vuotezza della trama e la banalità dei personaggi riescono ad irritare non poco lo spettatore, che, a film ultimato, lascia la sala con la mascella slogata per il troppo ridere, ma con un vuoto pneumatico nel cervello.

Ma le sole risate, si sa, non rendono un film imperdibile.

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