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8/10

Victoria regia di Sebastian Schipper

Drammatico
recensione di Francesco Ruzzier

Victoria è una giovane ragazza spagnola che vive da poco a Berlino. Una notte, tornando a casa da una serata passata da sola in discoteca, incontra un gruppo di quattro ragazzi berlinesi che la invitano ad unirsi a loro. Lei, chiaramente stufa di una vita solitaria e monotona, accetta senza pensarci due volte, ritrovandosi però travolta dagli eventi che trasformeranno una semplice nottata in una fuga disperata per salvare la propria pelle.

Questa è l'esile sinossi su cui si basa il gigantesco ed ambizioso Victoria di Sebastian Schipper, presentato in concorso alla 65ª edizione del Festival di Berlino: un film che per raccontare il viaggio al termine della notte di cinque ragazzi sceglie la strada di un unico piano sequenza di ben due ore e venti, facendo così vivere allo spettatore, sulla propria pelle, ogni singolo istante della vorticosa nottata. Un progetto veramente incredibile che, prima ancora di lasciare il tempo di riflettere sulla scelta di riprendere tutto senza mai staccare la macchina da presa, riesce a travolgere il pubblico con la semplice forza del racconto. Victoria, infatti, è un film che ha l'enorme pregio di mutare costantemente, passando attraverso vari generi cinematografici sempre in maniera efficace e convincente, riuscendo così a risultare costantemente imprevedibile, come d'altronde lo è la vita stessa. Quando, verso metà del film, le cose sembrano virare verso una storia d'amore tra la protagonista e Sonne, uno dei quattro ragazzi, ecco che un altro membro del gruppo di berlinesi si vede costretto a dover restituire un favore ad una gang di malavitosi e Victoria si ritrova catapultata sul sedile del guidatore di un'auto che dovrebbe portare in salvo i ragazzi dopo una rapina. Il percorso compiuto dalla protagonista inizia quindi con un tono da commedia, grazie al quale impariamo a conoscere e ad affezionarci ai vari personaggi, e si trasforma, quasi di colpo, in un thriller ad alta tensione che diventa infine una corsa contro il tempo che lascia senza fiato. E' soprattutto grazie all'idea del regista tedesco di concepire il film come un blocco unico che l'andamento inusuale del tono della narrazione si snoda, sotto gli occhi dello spettatore, con una naturalezza che fa restare a bocca aperta. Senza ombra di dubbio la bravura dei giovani interpreti ha giocato un ruolo importante nella riuscita del film, ma è certo che se non fosse stato per il piano sequenza l'evoluzione compiuta dal personaggio di Victoria non sarebbe mai sembrata così naturale e ogni sua scelta non avrebbe mai dato l'impressione di essere così tanto spontanea, come invece appare guardando il film. Essere lì, con lei, dalle 4.30 di notte alle 7.00 del mattino, e vivere assieme a lei ogni singolo istante di questa folle avventura fornisce una credibilità al racconto veramente convincente e la regia riesce a supportare ogni situazione con un approccio sempre azzeccato e senza mai risultare minimamente ripetitiva. L'idea di cinema che sta alla base di Victoria, oltre a risultare perfetta per quanto riguarda la mera efficacia della narrazione, fa riflettere su quanto sia possibile spingersi a realizzare sequenze - o, come in questo caso, piani sequenza - ai limiti dell'impossibile con i mezzi di cui il cinema dispone al giorno d'oggi. Pensare alla fluidità di movimenti possibili grazie alle macchine da presa digitali e alla possibilità concreta di riuscire a dare l'illusione che tutto sia stato effettivamente girato in un unico ciak quando il povero Alfred Hitchock, per suscitare l'impressione che i 77 minuti di Nodo alla Gola fossero costituiti da un'unica inquadratura, aveva dovuto arrangiarsi con riprese non più lunghe di 10 minuti - la lunghezza di un rullo di pellicola -, fa in effetti una certa impressione. Ovviamente il film che in questo senso ha segnato un netto confine tra il prima e il dopo e che ha effettivamente raggiunto delle vette prima di allora impensabili è stato il Gravity di Alfonso Cuaròn che, raggiungendo un perfetto equilibrio tra spettacolarità ed autorialità, ha fatto fluttuare la propria macchina da presa in giro per lo spazio, esplorando, anche grazie al 3D, traiettorie mai percorse prima. Ad un anno di distanza, ad alzare l'asticella è arrivato Birdman di Alejandro Gonzalez Iñarritu che, realizzato come Victoria in un unico piano sequenza, è riuscito a creare un vorticoso monologo interiore visivo, spingendo ai limiti della credibilità la linearità spaziale e temporale che un'inquadratura di questo tipo dovrebbe avere. Victoria, in questo contesto, si pone decisamente in maniera diversa, non cercando tanto di sorprendere attraverso la spettacolarità dei movimenti di macchina, quanto per il modo di saper raggiungere continuamente la giusta distanza dagli elementi del racconto per tutta la durata del film, perseguendo così una via narrativa quasi unica nel suo genere.

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