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5/10

The German Doctor - Wakolda regia di Lucia Puenzo

Thriller
recensione di Gianluca Bonanno

Argentina anni '60, una famiglia si dirige in Patagonia per riaprire un albergo ereditato. A seguire il loro viaggio c'è un elegante medico tedesco a cui la famiglia da accoglienza. Il passato del medico, criminale nazista in fuga in sudamerica, interverrà nel presente solo apparentemente distante nel luogo e nel tempo dalla follia eugenetica del Novecento dei totalitarismi europei.

Il film di Lucia Puenzo si situa nel contatto fra la microstoria famigliare dei protagonisti con l'eredità macrostorica del dott. Mengele, scienziato criminale nazista, incarnazione del fantasma eugenetico che percorse ideologicamente l'Europa del primo dopoguerra. Un uomo deciso a perseguire il proprio progetto scientifico anche lontano dalla sua patria, ormai distante anch'essa dall'orrore nazista. Cellula impazzita e proliferante in completa autonomia con le dialettiche storiche. Il tutto scorre sullo scenario di una Patagonia fotograficamente, nelle parole del medico, vicina ai paesaggi teutonici, meta prediletta dai crminali fuggiti a Norimberga. Bariloche infatti, dove sorge l'albergo che la famiglia è decisa a rilevare, è abitata in maggior parte da tedeschi in fuga dopo l'invasione alleata e sovietica, che dopo 20 anni ormai hanno creato una società con tutti gli apparati istituzionali, scuola compresa. Lilith, figlia adolescente con un deficit di crescita, frequenta questo istituto, dove lavora come archivista anche Nora Eldoc, spia israeliana ispirata ad una donna realmente esistita, alla caccia di criminali storici. Il film si concentra sul rapporto fra Lilith e Mengele. L'ossessione per il corpo da correggere della bambina è la declinazione miniaturizzata dell'ideologia nazista, tesa alla creazione del corpo perfetto, specchio della purezza genetica. La malattia, stavolta di Mengele, germina in sceneggiatura anche nell'intreccio secondario che coinvolge il medico ed il padre di Lilith. Enzo, il padre, costruisce bambole artigianalmente e Wakolda è la bambola della figlia, di fisionomia meticciata. Mengele offre una collaborazione al padre a una condizione: che la bambola dal cuore meccanico che l'artigiano sta progettando si converta in produzione industriale, cosicchè le diversità strutturate al lavoro artigianale vengano, di nuovo, "corrette". Se il padre, sebbene con riluttanza, lascia che Mengele lo aiuti con le bambole, è completamente all'oscuro degli esperimenti ormonali che il medico conduce sul corpo di Lilith. Infatti l'esplorazione del mondo dell'adolescente risente di un corpo che gli altri stigmatizzano come non normato. Mengele le offre l'opportunità di una cura sperimentata solo sui bovini con conseguenze su Lilith che lo scienziato ignora nel nome della riuscita della sua ricerca. Insomma il film di Lucia Puenzo si prefigge l'obiettivo di sintetizzare una specie di carattere nazista, prima e dopo la Germania del primo dopoguerra, per rintracciare una modalità di pensiero che potrebbe soppravviverle, anche nella società tardo-capitalista (l'ormone usato da Mengele è ancora adoperato con gli stessi scopi). Il tema rimane d'interesse ma la regista, anche sceneggiatrice e soggettista, lo maneggia maldestramente, costruendo un Mengele che ci racconta di sè molto poco, circondato di stimmate della sua follia eugenetica (il taccuino, i miti pangermanici), ma senza la profondità dovuta. Se insomma la premessa era il viaggio nella mente del folle, esso non è riuscito, sebbene la pellicola abbia il merito di aver gettato luce su una ramificazione assurda della Storia. Infatti di maggior merito rimangono le inquadrature stranianti di una Patagonia ibridata con i paesaggi e cultura mitteleuropea.

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