R Recensione

6/10

The Green Inferno regia di Eli Roth

Horror
recensione di Federica Cunego

Un gruppo di giovani eco-attivisti, studenti di un prestigioso college di New York, parte alla volta dell'Amazzonia peruviana con l'intento di salvare parte della foresta pluviale destinata al disboscamento e un villaggio abitato da una tribù aborigena dall'intervento delle ruspe e dei soldati mercenari assoldati da compagnie petrolifere. Gli attivisti, armati solo di smartphone in connessione streaming, svelano al mondo della rete le efferatezze di cui sono capaci gli operai armati, riuscendo così ad interrompere l'avanzata delle ruspe. Tutto sembra essere andato per il meglio, se non che l'aereo che porta in salvo gli ambientalisti precipita e i ragazzi vengono catturati da una tribù indigena che pratica il cannibalismo.

Il girone peggiore dell'inferno è riservato agli ambientalisti da social network e ai benintenzionati attivisti "pecoroni". Otto anni dopo l'uscita nelle sale di Hostel II il regista Eli Roth torna a tormentare mente e retina dello spettatore con un altro agghiacciante horror, abbandonando le ambientazioni mitteleuropee per addentrarsi nel cuore della foresta amazzonica, dove animismo e istinti primordiali sembrano pulsare dalla terra stessa. L'impronta realistica del film (che ricorda vagamente le atmosfere di Apocalypto) non è soltanto legata ad uno stile registico che predilige la macchina a mano, ma anche (e soprattutto) alla scelta di girare un film in un autentico villaggio amazzonico, incontaminato dalla modernità. Il regista infatti dichiara che durante un sopralluogo lungo il fiume Pongo Aguirre (così nominato dal film Aguirre, furore di Dio di Werner Herzog) ha avvistato un villaggio situato lungo la riva del fiume: è esattamente quello che aveva immaginato per Green inferno. In cambio di tetti in lamiera e indumenti che proteggano dall'attacco degli insetti carnivori, gli abitanti del villaggio hanno autorizzato le riprese del film. Ma la scelta della location non è il solo punto di interesse del film: il germe del male non è legato a presenze soprannaturali o demoniache, secondo il filone horror più in voga al momento, ma affonda le sue radici nella società stessa. Il male si nasconde dietro la risposta dei social alle catastrofi globali, all'ipocrisia del retweet, forma di espiazione per ambientalisti da poltrona; ma il male si insidia anche nei luoghi più remoti della terra, in mondi a noi sconosciuti, dove sopravvivono a nostra insaputa culti animisti che minano le fondamenta dei tabù della società moderna. Mondi in cui gli smartphone connessi in streaming (unica arma di difesa dei protagonisti del film) nulla possono contro le realtà tribali congelate in un passato in cui le tecnologie moderne non hanno alcun significato. L'inferno in cui ci si immerge è doppiamente green: tanto la verde giungla amazzonica che inghiotte (testualmente) il gruppo di studenti, quanto le false speranze riposte in un attivismo green prostrato di fronte allo strapotere della rete. Queste sono le tematiche lanciate dal film, che vengono però lasciate in superficie per dare spazio a strutture e meccanismi consolidate proprie del genere: il regista si abbandona dunque a compiaciute scene di violenza e tortura, che nulla lasciano all'immaginazione e che suscitano disgusto e sgomento, proprio come lo splatter comanda. Eli Roth si concede inoltre tratti di nero umorismo "tarantiniano", che suscitano una risata nervosa ma che davvero poco funzionano nel contesto del film, spezzando il "patto di incredulità" con lo spettatore e trascinando la trama in momenti che sfiorano il surreale e adagiandola sullo spinoso cuscino del grottesco, in cui gli indigeni vengono impietosamente ritratti come una sorta di ottuso squadrone di zombie. Non manca il citazionismo, già chiaro dal soggetto, a Cannibal Holocaust: nella seconda parte del film il regista erige una piccola foresta di impalati per omaggiare Ruggero Deodato (ulteriore momento dedicato al genere "puro"). Anche la tematica della mutilazione genitale femminile, esposta all'inizio della storia, viene sfruttata come meccanismo puramente di macabro intrattenimento. Insomma, Eli Roth presenta in questo prodotto della sua mente un girone infernale arso dal buon proposito di toccare tematiche scottanti, ma non sempre riesce a centrare il bersaglio. Nessuno gliene fa una colpa, per gli amanti del genere il film è godibile e..."gustoso". O fose no. Perché, citando la logline del film, "Nessuna buona azione resterà impunita".

V Voti

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