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5/10

Frozen regia di Adam Green

Horror
recensione di Riccardo Nuziale

In una fredda notte d'inverno, tre sciatori si stringono insieme su una seggiovia, confusi sul motivo per cui la loro corsa fino alla cima si è fermata di colpo. Il freddo pungente del vento gelido peggiora, quando i potenti riflettori si spengono, lasciandoli bloccati al buio. Mentre aspettano aiuto, la realtà di questo incubo li colpisce. La stazione sciistica è stata chiusa, abbandonando il gruppo bloccato in cima sopra i pendii della montagna mentre una tempesta di neve è in arrivo. Con l'eco di urla minacciose attraverso i boschi circostanti, avranno bisogno di prendere decisioni difficili per poter sopravvivere.

Con solo quattro film all’attivo, lo statunitense Adam Green si è già conquistato un posto di rilievo nella considerazione critica d’oltreoceano. Esploso nel 2006 con il suo lungometraggio d’esordio, quel Hatchet che lodevolmente mescolava in salsa comedy gli stilemi dello slasher, e confermando la buona verve creativa e duttilità con il thriller psicologico Spiral l’anno successivo, Green ha ottenuto ulteriore considerazione nel 2009 con la produzione di Grace, sopravvalutato esordio di Paul Solet che però negli States ha goduto di buon successo di pubblico e critica (da noi è ancora inedito).

Proprio sul set di Grace il regista trentaseienne ha scritto la sceneggiatura della sua terza fatica, un film in cui, come ha confermato lui stesso, si è messo a nudo, tentando di dar vita ad un’opera emozionante non solo a livello puramente di tensione, ma anche di complessità psicologica.

Girato per volontà dello stesso Green interamente sul posto, e non in teatro di posa (con conseguente massiccia post-produzione), per dare velo di “autenticità” e verosimiglianza alla pellicola, Frozen si distacca nettamente dall’opera prima Hatchet (l’opera finora più conosciuta e amata di Green, tanto da aver portato il cineasta a dirigerne un sequel, uscito negli Stati Uniti lo scorso ottobre): al sensazionalismo grandguignolesco e a tratti cartoonesco di Hatchet, il regista preferisce qui una secchezza “realista” che si confà al sottogenere survival, ricalcando le idee di film come Open Water.

La considerazione in patria di Green, dicevamo. Ebbene, se la stampa generalista ha abbastanza snobbato il film, come ci conferma la mediocre media di Metacritic (43/100, con solo tre recensioni su sedici con un voto pari o superiore al 70), i siti specializzati nella cinematografia horror hanno esaltato Frozen all’unisono, portandolo ad un autentico trionfo: tre “teschi” su quattro per Fangoria, quattro “teschi” e mezzo su cinque (9/10) per Bloody Disgusting, quattro “pugnali” e mezzo su cinque per Dread Central, commento decisamente entusiasta anche per Brutal As Hell (sito che non assegna voti di alcun genere), che sottolinea il netto miglioramento rispetto a Hatchet.

Hype, hype, perché sei tu hype. Fidarsi di un entusiasmo collettivo tanto marcato è sempre rischioso, e difatti a noi il film non è piaciuto. Se le prove dei tre attori principali sono ottime, al punto da sostenere perfettamente l’impalcatura narrativa, il film ha a nostro avviso due grandi pecche.

La prima sta nella regia. Green sceglie la via del minimalismo, alla stregua di film come The Blair Witch Project o del più recente Buried, ma non riesce a raggiungere né la freschezza tecnica di quest’ultimo, né tantomeno la genialità concettuale del primo, scadendo in ossessivi campi lunghi alternati a primi e primissimi piani con cui vorrebbe portare ad un disagio claustrofobico e d’isolamento, senza però mai toccarlo e anzi giungendo in fretta ad un manierismo piuttosto noioso.

La seconda sta nella sceneggiatura. Pur non mancando di qualche guizzo degno di nota (uno su tutti il dialogo premonitore sulla morte più spaventosa, con Dan che confessa di essere terrorizzato dall’idea di vedere uscire dall’acqua la pinna di uno squalo (di vedere quindi il proprio carnefice sapendo di morire) e con Parker che parla della paura di morire bruciata viva), lo script di Green è caratterizzata da ingenuità e banalità talvolta disarmanti, sia nella prima parte (dove i dialoghi sembrano presi da un Kevin Williamson di terza mano), sia nell’ora d’”azione” (dove i dialoghi sono tipicamente americani, zuccherosi e ipocritamente “profondi”, e dove lo svolgersi narrativo è più che telefonato).

Frozen è un film che insomma non colpisce (figurarsi sconvolgere) né per contenuti, né per qualità tecniche, né per innovazioni (che non ci sono), né per puro intrattenimento. Che il suo cinema sia più gory, sporco e “superficiale” l’ha probabilmente capito lo stesso Green: i suoi prossimi progetti sono infatti il film ad episodi Chillerama (di cui girerà un episodio), il terzo capitolo di Hatchet e la commedia horror Killer Pizza.

Meno “profondità”, più divertimento.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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