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R Recensione

8/10

Il Serpente e l'Arcobaleno regia di Wes Craven

Horror
recensione di Gabriele Repaci

Haiti 1985: in seguito alla riapparizione di Christophe Duran (Conrad Roberts) un uomo dichiarato morto nel  1978, l’antropologo americano Dennis Allan (Bill Pullman) si reca sull’isola alla ricerca del segreto della polvere degli zombie. Tuttavia qui dovrà fronteggiare il perfido Peytraud (Zakes Mokae) capo dei tonton macoutes, la famigerata polizia politica di Jean-Claude “Baby Doc” Duvalier, il quale userà i suoi poteri di stregone vudù per impedirgli di portare a termine la sua missione.

Ispirato all’omonimo libro di Wade Davis Il Serpente e l’Arcobaleno di Wes Craven narra la storia di uno dei casi più famosi mai documentati di presunta trasformazione in zombie. Il 30 aprile del 1962 Clairvius Narcisse, contadino di quarant’anni, si recò all’Albert Schweitzer Hospital presso Deschapelles ad Haiti tossendo, accusando dolori e sputando sangue. Il 2 maggio le condizioni di Narcisse peggiorarono notevolmente e all’01.15 di notte i medici ne dichiarano il decesso. In seguito venne sepolto nella tomba di famiglia nel vicino villaggio di L'Estère. Nel 1980, la sorella di Clairvius Angelina, mentre stava facendo la spesa al mercato, incontrò un uomo che dichiarava di essere suo fratello morto diciotto anni prima. Egli sostenne di essere caduto vittima di un sortilegio inflittogli da un bokor, uno stregone vudù, che gli avrebbe rubato l’anima.  Il malcapitato asserì che quando venne dichiarato morto era completamente paralizzato ma cosciente ed aveva quindi sentito i medici attestare la sua morte e si era accorto di essere stato coperto con un lenzuolo. Raccontò inoltre di essere stato portato in una piantagione e trattenuto come schiavo finché non era riuscito a fuggire. Per verificare l’autenticità delle sue affermazioni uno psichiatra gli pose una serie di domande alle quali solo qualcuno della famiglia avrebbe potuto rispondere. Analizzate le prove il medico giunse alla sorprendente conclusione che quell’uomo era davvero Clairvius Narcisse.  Venuto a conoscenza della notizia, nel 1982 l’antropologo canadese Wade Davis si recò ad Haiti per indagare sull’esistenza della misteriosa «pozione degli zombie».  Egli scoprì che questa consisteva in una miscela di resti umani e alcune varietà di pesci di mare tra cui il pesce palla che contiene una sostanza altamente tossica: la tetrodotossina. Si tratta di una molecola molto grande che selettivamente  blocca i canali di sodio e la conduzione nervosa provocando una paralisi periferica. Il livello di coscienza si abbassa e il metabolismo rallenta fino a provocare la morte. È un veleno micidiale quasi mille volte più potente del cianuro di potassio. La scoperta di tale pozione spiegherebbe dunque l’errore dei medici nel dichiarare morto Clairvius Narcisse. Ad Haiti tutt’oggi il problema della «zombificazione» è preso molto sul serio dalle autorità del paese tanto che nel codice penale dell’isola è scritto che «sarà considerato tentato omicidio l’impiego contro una persona di sostanze che, senza causare vera morte, producano coma letargico. Se in seguito a tale morte apparente la persona sarà seppellita, il fatto verrà considerato assassinio».

L’originalità del film è data anche dalla sua chiave di lettura politica. Ambientato nell’Haiti dello spietato dittatore Jean-Claude “Baby Doc” Duvalier, la pellicola di Wes Craven rovescia l’immagine classica dello zombie consolidata dalla tradizione hollywoodiana. Per il regista infatti il morto vivente è la vittima e non il carnefice il quale va ricercato in coloro che detengono il potere in grado di manipolare i corpi e le menti al proprio volere. Nel film il malvagio leader dei ton ton macoutes Peytraud riesce a mantenere il controllo sulla popolazione del paese facendo leva sulle loro credenze religiose. Egli non avrebbe alcuna autorità su di loro se essi stessi non credessero che lui l’abbia davvero.  Ciò che ci impedisce di reagire e di ribellarci contro i soprusi il più delle volte infatti sono i nostri stessi condizionamenti mentali sfruttati efficacemente da coloro i quali vogliono mantenere lo status quo. Non esiste infatti prigione più potente di quella che ci creiamo noi stessi con la nostra testa.  Quello che vuole farci capire Craven con questo film è che solamente liberandoci delle nostre catene interiori si può cercare di cambiare la realtà che ci circonda.   

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Albyscorpio (ha votato 9 questo film) alle 15:32 del primo luglio 2014 ha scritto:

Concordo appieno con la recensione.

Ed aggiungo che le musiche e la fotografia regalano una sensazione di ubriachezza e di confusione che potenzia l'effetto di smarrimento dello spettatore, rendendolo quasi un compagno di viaggio dello sfortunato antropologo.

L'ambientazione poi di molte scene restituisce un senso di claustrofobia e soffocamento che spinge l'adrenalina al punto giusto per mantenere la tensione e l'attenzione vive fino alla fine del film.

Un capolavoro da tenere, gelosamente, nella mia videoteca privata