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5/10

Safe House - Nessuno è al sicuro regia di Daniel Espinosa

Azione
recensione di Alessandro Giovannini

Cape Town. Al consolato americano si presenta Tobin Frost (Denzel Washington), ex agente della CIA divenuto poi trafficante di informazioni, che si consegna spontaneamente. Viene condotto in una safe house (un rifugio sicuro dei servizi segreti in cui nascondere testimoni importanti) per essere interrogato, ma un commando di mercenari riesce a penetrarvi facendo fuori tutti gli agenti. Si salvano solo Frost ed il “custode” della casa, Matt Weston (Ryan Reynolds), un agente ancora privo di esperienza sul campo. Tocca proprio a Matt proteggere il super-testimone e cercare di capire cosa Frost stia nascondendo (e cosa i mercenari stiano cercando).

Quarto lungometraggio per lo svedese Espinosa, il primo made in USA. Si tratta di un film d'azione ipercinetico di stampo classico, con alternanza di sequenze dialogiche calme e adrenaliniche sequenze di spara-spara girate con estetica da videoclip (montaggio brevissimo, dettagli e primi piani, camera mossa); la vicenda assomiglia a tante già viste, se non fosse per l'ambientazione esotica.

E' il tipico film pregevole per quanto riguarda l'aspetto tecnico, specie nelle coreografie delle scene d'azione (una lunga sequenza di inseguimento automobilistico, una violenta sparatoria sui tetti di una baraccopoli, scene di panico di massa allo stadio) ma un po' privo di mordente; si segue certo volentieri ma i personaggi non coinvolgono più di tanto: la recitazione è su livelli discreti e molto è lasciato alla bravura di Washington che gigioneggia nel suo ruolo di cattivo carismatico (che richiama alla mente il killer di Collateral intepretato da Tom Cruise), ma molti personaggi sono poco approfonditi e la loro “descrizione psicologica” è relegata ad un paio di dialoghi striminziti.

La vicenda prosegue in un crescendo di suspense fino al gran finale che si risolve in un classico tutti-contro-tutti con uccisioni a catena. Il rapporto fra Weston e la sua fidanzata è inerte e spreca un'opportunità di approfondimento della storia. L'Hollywood ending è esattamente quello che lo spettatore si aspetta, senza grandi sorprese.

Positive sono la fotografia di Oliver Wood che sa usare bene luci ed ombre e rende apprezzabili le scene in notturna, e la variegate scenografie di Brigitte Broch, mentre la colonna sonora di Ramin Djawadi è un sottofondo piuttosto anonimo.

In conclusione un film che rispetta tutti canoni del film d'azione americano, senza infamia e senza lode.

Così così.

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