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6/10

In Another Country regia di Sang-soo Hong

Commedia
recensione di Alessandro Giovannini

Mohang, località balneare della Corea del Sud: una ragazzina, studentessa di cinema, è confinata lì con la madre a cauusa dei debti contratti dal padre. Nella loro permanenza forzata, la ragazza scrive la sceneggiatura di un possibile film da ambientare nella località: immagna una situazione di partena che vede una straniera, francese per l'esattezza (Isabelle Huppert) costretta per qualche motivo a fermaris nel paesino peer qualche giorno, in una specie di b&b a conduzione famigliare; poi la ragazzina immagina tre sviluppi possibili della vicenda.

Hong, meno noto in occidente rispetto a colleghi come Ki-duk Kim, Chan-wook Park o Joon-ho Bong (ricordiamoci sempre che in Corea del Sud i nomi sono quelli "doppi", cioè quelli con il trattino, e le parole singole sono i cognomi) realizza il suo quindicesimo lungometraggio collaborando con una star del cinema europeo del calibro della Huppert, unico soggetto occidentale nella pellicola. Per un pubblico europeo o americano, l'identificazione con la donna, sola e "sperduta" nel paesino asiatico dove si riesce a comunicare solo parlando uno stentato inglese, l'identificazione è immediata. I tre episodi dall'identica location e dagli identici personaggi, differiscono leggermente l'uno dall'altro: per esempio cambiano i rapporti tra i personaggi (come quelli tra la Huppert ed un regista coreano, in un caso suo spasimante, in un altro suo amante), l'ordine degli incontri fatti dalla donna e le sue azioni (concedersi o meno al guardaspiaggia, trovare o meno il faro lungo la costa) in un esercizio di variazioni minime o notevoli che rimanda ai concept "cosa succederebbe/sarebbe successo se..." su cui si basano film come Sliding Doors, oppure Melinda e Melinda.

Stilisticamente povero (una sola videocamera, riprese quasi sempre fisse e con movimenti sull'asse, qualche zoom improvviso alla b-movie italiano anni '70-80), è un film d'attori che si esercitano in una prova naturalistica in cui più che recitare sembrano chiacchierare del più e del meno; tali dialoghi mimano le incertezze, le ripetizioni, le pause del parlato quotidiano, offrendo scene di grande naturalezza espressiva (ad esempio il dialogo con il monaco), con spunti comici (l'inglese singhiozzante del guardaspiaggia) o seri (la barriera linguistica come metafora della difficoltà di comunicare i propri sentimenti e relazionarsi con altri esseri umani). Peccato per una cornice narrativa ridotta ad una scena iniziale e poi abbandonata, che la rende di fatto superflua, e per una colonna sonora scarna di cui ci si dimentica perfino l'esistenza una volta finito il film.

Un film indicato per chi studia sceneggiatura.

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