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5/10

Sleepless - Il Giustiziere regia di Baran Bo Odar

Azione
recensione di Leda Mariani

Vincent Downs, tenente sotto copertura della polizia di Las Vegas, si ritrova accidentalmente coinvolto nella sparizione di una partita di droga che attira contro di lui l’ira di due boss criminali. Uno di questi, Stan Rubino, fa rapire il figlio adolescente di Vincent, promettendo di liberarlo solo dopo la restituzione della cocaina. Vincent inizierà dunque una corsa contro il tempo per salvarlo, ma sulla sua strada si incroceranno le intenzioni di moltissimi personaggi, che andranno a creare un’incredibile sequenza di eventi inaspettati, nello scenario di un’ipercinetica Las Vegas.

Sleepless è di certo un film al cardiopalma che non potrà che intrattenere e divertire i suoi spettatori. Costruito dal giovane regista svizzero Baran Bo Odar (1978) inseguendo l’immaginario dei più classici film adrenalinici d’azione hollywoodiani, è molto ben fatto a livello cinetico e d’immagine. Le scenografie di Tim Grimes, che ricostruiscono Las Vegas ad Atlanta, sono credibili e coloratissime, la fotografia del rumeno Mihai Malaimare Jr. è patinata ed accattivante, gli attori hanno tutti un curriculum d’eccezione, le scene d’azione e di combattimento coreografate da Jeff Imada (leggendario coordinatore degli stuntman di Hollywood) sono divertentissime, eppure… eppure questo film appare disorganico e forse un po’ troppo fine a sé stesso.

Al di là del divertimento che può restituire e di un ritmo incessante che ti trascina (non senza sofferenza, forse per eccessi adrenalinici) fino alla fine, a livello di sceneggiatura sembra fare acqua da tutte le parti. I momenti drammatici che gli autori hanno scelto di inserire nella storia spesso risultano ridicoli, facendo scaturire risate, la trama a guardar bene non è chiara, ci sono moltissime lacune e buchi neri narrativi, e forse il patto d’accondiscendenza logica che si chiede allo spettatore in questo tipo di film, a favore dell’azione, ecco…forse qui è davvero un po’ troppo.

Il risultato purtroppo è proprio quello che ci aspetterebbe da un thriller ibrido: con un’azione tutta americana, basato su un film francese e filtrato attraverso l’occhio di un regista nordeuropeo: in pratica un dinamico potpourri che partendo da un allegro effetto giostra, alla fine porta a quella nausea che prende quando si esagera in tutto.

I bravissimi attori: Jamie Foxx (Ray, Django Unchained), Michelle Monaghan (Mission Impossible III, Kiss Kiss Bang Bang, The Path, True Detective), David Harbour (Suicide Squad, Black Mass: l’ultimo gangster, Stranger Things), Delmot Mulroney e molti altri, qui sono diretti veramente male, perdendo tutte le loro eccezionali qualità espressive in funzione dell’aderire al ruolo di macchiette-marionette che, anche nelle situazioni più tragiche, esprimono i sentimenti e le emozioni di un robot.

Colpiti dal thriller francese “NuitBlanche”, di Frédéric Jardin,proiettato al Toronto Film Festival nel 2012, i produttori esecutivi Adam Stone e Alex Foster hanno iniziato a collaborare con Roy Lee, co-fondatore di Vertigo Entertainment - noto per i suoi adattamenti di film di genere in lingua straniera - per sviluppare la storia per il pubblico americano, affidando direttamente il progetto a Jamie Foxx, premio Oscar per Roy, e alla sceneggiatrice Andrea Berloff. L’obiettivo era quello di far fare un salto di qualità a quella bella idea sviluppata da una piccola produzione europea, ma dal mio punto di vista, il risultato tradisce ogni aspettativa.

Foxx racconta che voleva far sembrare Vincent, il poliziotto protagonista, <<un uomo del tutto comune, che vive in un luogo in cui tutto sembra volgere alla disperazione, ma che vorrebbe solo tornare con la sua donna e fare il bene di suo figlio>>. Eppure il personaggio è gelido: non si entra minimamente in empatia con lui; quando Vincent sta male (e credetemi, nel film si fa molto male), tutto procede come se niente fosse e a tratti davvero annoia quanto un burattino senz’anima, così come appare anche Michelle Monaghan nel ruolo nell’investigatrice Jen Bryant, che oscilla tra una poco credibile pazzoide e una fisicamente indistruttibile tonta.

Ok, c’è molta, moltissima azione curata e pensata, e tutto si svolge in una sola notte: wow, adrenalinico, ma persino il bravissimo David Harbour, nel ruolo del doppiogiochista Dennison, sembra ridere di sé stesso per tutto il film! L’unico che si salva è il super cattivo boss Rob Novak, al quale Scoot McNairy è riuscito miracolosamente - e credo sia un merito del tutto personale - a dare spessore, interpretandolo con un’intensità incredibile, rispetto alle performances di tutti gli altri. Quindi si riesce ad entrare un po’ in empatia paradossalmente solo con i cattivi (e non penso sia intenzionale).

Dulcis in fundo questa storia potenzialmente grintosa, che doveva essere incentrata essenzialmente sui personaggi, durante una notte di vicissitudini senza sosta, a me è sembrata una folle e fredda corsa verso un finale sempre più desiderato, che lo rende perfetto per un consumo televisivo distratto e frammentario.

Belli i titoli di coda.

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