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9/10

Django Unchained regia di Quentin Tarantino

Western
recensione di Federica Banfi

Django (Jamie Foxx) è uno schiavo negli Stati Uniti d'America pre-Guerra Civile, liberato dal cacciatore di taglie di origine tedesca, il dott. King Schultz (Christoph Waltz) affinché possa aiutarlo a ritrovare le tracce dei fratelli Brittle, noti assassini, per poterne riscuotere la taglia.  Il successo dell'operazione induce Schultz ad aiutare il suo nuovo partner a trovare e salvare la moglie Broomhilda, nelle grinfie dello schiavista Calvin Candie (Leonardo DiCaprio).

John Cawelti nel suo studio sul film western anni ’60 e il postmodernismo, individua quattro possibili declinazioni del genere: la prima, quella comico-parodica, punta a rovesciare il modello convenzionale accostandolo a contesti esagerati o incongrui al punto dal renderli comici, la seconda è quella del culto nostalgico, in cui si cerca di ricreare un’atmosfera di un tempo passato, che si sa perduto. Seguono quella della demitizzazione e della riaffermazione del mito per il mito. Cosa succede quando un grande regista quale Quentin Tarantino decide di seguire le orme di due grandi Sergio del cinema italiano (Leone e Corbucci, ça va sans dire), mescolando tutte le definizioni di Cawelti, trasformando un soggetto prettamente americano, riguardante la schiavitù e la guerra civile, in un vero e proprio spaghetti western?

Nasce Django Unchained. Sud degli Stati Uniti d’America, due anni prima della guerra di secessione. Il dottor King Schultz (interpretato da Christoph Waltz, già vincitore di un premio Oscar per la sua interpretazione del colonnello nazista Hans Landa in Bastardi senza gloria), bounty killer celato sotto la maschera di dentista teutonico, libera dalla schiavitù lo schiavo di colore Django (Jamie Foxx), con la richiesta di aiutarlo a ritrovare i fratelli Brittle, per poterne recuperare la taglia che pende sulla loro testa. Una volta compiuta la missione per cui era stato liberato, Django si vede offrire dal suo nuovo partner un aiuto per ritrovare l’amata moglie, la giovane Broomhilda (Kerry Washington), momentaneamente proprietà dello spietato schiavista Calvin Candie (Leonardo DiCaprio).

Che Tarantino prima che un regista sia un grande cinefilo è indubbio e ne ha dato prova in ogni suo film, pregni di alto citazionismo e camei d’eccezione. Con Django Unchained ci regala un’altra prova della sua competenza in campo cinematografico, in maniera decisamente più fine rispetto ai precedenti: non solo il titolo richiama al mondo dello spaghetti western (e non parlo esclusivamente del capolavoro di Corbucci, ma anche di tutta la serie di Django del cinema italiano nel periodo in cui spopolava in genere), e non solo ritroviamo la straordinaria partecipazione di Franco Nero, primo interprete del protagonista eponimo della pellicola; meno citazionista del solito, Tarantino riesce soprattutto a cogliere in toto l’atmosfera di un genere che ha conosciuto la sua parabola negli anni Sessanta, regalandoci un vero e proprio spaghetti western dei giorni nostri (anche se, bisogna ammetterlo, spesso la grandiosità di alcune sequenze si avvicina più alle grandi produzioni americane à la Peckinpah, che alle più modeste cugine italiane), ammiccando al passato pur donandogli un’impronta del tutto personale. Stilisticamente rimane ineccepibile come sempre, riconfermandosi un vero e proprio autore contemporaneo, perfettamente riconoscibile in ogni sequenza da lui girata, regalandoci anche in questa sua ultima fatica momenti visivamente splendidi (l’immagine delle piante di cotone impregnate del sangue degli schiavisti o la sequenza della spillatura della birra da parte di Schultz, che ci regala scelte di montaggio eccezionali, ne sono esempi lampanti) e una sceneggiatura impeccabile, come sempre opera del regista stesso, ricca dei prolissi dialoghi a lui cari. Troviamo anche in Django Unchained il fil rouge che lega tutta la produzione del regista, quella della vendetta e del riscatto, particolarmente rilevante nel precedente Bastardi senza gloria. Viene mantenuta però sullo sfondo una vicenda amorosa che riesce perfettamente nel compito di addolcire le vicende portanti del film, ossia il vagabondaggio dei due bounty killer, alla ricerca di ricompense e vendetta, e il tema dello schiavismo che, già raramente trasposto sul grande schermo, viene riletto con toni dissacranti ed ironici (pur mantenendo un clima di grande rispetto), tipici sia della filmografia tarantiniana, sia di alcune produzioni di spaghetti western. Da menzionare l’esilarante sequenza in cui, in seguito a una gloriosa cavalcata accompagnata dalle note del Dies Irae del Requiem di Giuseppe Verdi, incontriamo i membri di un proto Ku Klux Klan alle prese con dei cappucci dai buchi troppo stretti. Ed è proprio nell’ambiente schiavista che incontriamo due dei personaggi più riusciti di tutta la pellicola: monsieur Candie, interpretato dal poliedrico Leonardo DiCaprio, per la prima volta alle prese con un vero e proprio “cattivo”, schiavista spietato, ma naive al tempo stesso, immaginato dal regista come un giovane Caligola, e lo Stephen di Samuel L. Jackson, capo della servitù della magione di Candie, forse il personaggio più negativo dell’intera vicenda. Ineccepibili anche le interpretazioni di Jamie Foxx, protagonista eponimo che, nonostante il titolo del film facesse presagire il contrario, viene spesso messo da parte a causa delle strabilianti interpretazioni dei suoi comprimari, e di Christoph Waltz, che si rivela nuovamente uno dei migliori attori contemporanei in circolazione, caustico e salace, ma capacissimo di commuovere anche semplicemente nel raccontare romantiche leggende teutoniche.

Degna di nota è la colonna sonora, un mélange di sonorità agli antipodi, che rivela nuovamente la vastissima cultura cinematografica del regista, che inserisce magistralmente all’interno della pellicola brani presi in prestito dalla tradizione del western all’italiana, firmati da alcuni dei più grandi nomi della composizione per il cinema (come non citare Ennio Morricone, autore del brano inedito Ancora qui, scritto per la voce della cantante Elisa, e Luis Bacalov), tratte da pellicole quali Django e I crudeli di Sergio Corbucci, ma anche Gli avvoltoi hanno fame di Don Siegel, Lo chiamavano King di Giancarlo Romitelli, Lo chiamavano Trinità e moltissimi altri titoli di culto, intervallati da alcuni pezzi originali decisamente più contemporanei, che si inseriscono perfettamente all’interno della narrazione.

Django Unchained, seppur non sia privo di alcune pecche (in primis una sovrabbondanza di momenti ironici e la lunghezza smisurata della pellicola, che arriva, comprensiva di tagli, a 165 minuti, tempo record nella filmografia tarantiniana) rimane un capolavoro della cinematografia contemporanea, un’opera di altissimo livello registico, che perfettamente s’inserisce nel già impeccabile curriculum del regista americano. Tarantino disse una volta che senza lo spaghetti western buona parte del cinema italiano non esisterebbe e che Hollywood non sarebbe la stessa cosa. E dopo la visione di Django Unchained non si può che essere d’accordo con lui.

C Commenti

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Alberto Longo alle 1:29 del 16 gennaio 2013 ha scritto:

Signora recensione. Che dire? Il 17 un cinema di Milano sarà mio!

Alessio Colangelo (ha votato 9 questo film) alle 9:14 del 16 gennaio 2013 ha scritto:

Condordo su tutto tranne sulla sovrabbondanza di ironia che fa solo piacere e la lunghezza di 165' è digeribilissima in un film di Tarantino.

Fabrizia Malgieri (ha votato 9 questo film) alle 11:24 del 16 gennaio 2013 ha scritto:

Recensione di grande pregio, ha decisamente confermato le mie aspettative riguardo al film..non vedo l'ora che sia domani!

Alberto Longo alle 19:42 del 19 gennaio 2013 ha scritto:

Visto e devo dire che faccio ancora fatica a dire se mi sia piaciuto o se mi sia piaciuto molto...

Marco_Biasio (ha votato 8 questo film) alle 19:30 del 20 gennaio 2013 ha scritto:

Mai stato un grande ammiratore di Tarantino, ma qui ho riso alla grande. Un paio di sequenze sono memorabili, e sia DiCaprio che Jackson impersonano delle figure gigantesche, memorabili. Evitabile il cameo di Franco Nero e c'è qualche errore diacronico (voluto?) nello scorrere della sceneggiatura (penso ad esempio a Django che uccide l'assaltatore delle diligenze in estate, una sequenza girata tra due che sono invece ambientate in pieno inverno), ma da Tarantino non si può voler altro che questo. Non lo esalterei, comunque, con toni così entusiastici: il citazionismo è palpabilissimo e innegabile, in ogni fibra del suo scorrere, e questo rischia di essere a tratti un limite, specie per durate così importanti.

alejo90 (ha votato 8 questo film) alle 21:45 del 20 gennaio 2013 ha scritto:

ha un ottimo primo tempo, poi soffre di deficit di scrittura nella seconda metà che portano ad un finale di canonica macelleria. Ottime regia e recitazione.

swansong (ha votato 9 questo film) alle 19:17 del 30 gennaio 2013 ha scritto:

Mi ha entusiasmato non c'è che dire! Quasi tre ore di pacchia assoluta...e chissenefrega delle citazioni quando la classe letteralmente deborda da ogni inquadratura, dialogo, passaggio musicale. Film tarantiniano sotto molti punti di vista, ma, paradossalmente, credo sia anche quello dove il suo stile è meno “esibito” e più – come dire – “hollywoodiano”.

C'è anche da dire che dal punto di vista stilistico/tecnico (montaggio, fotografia, scenografie, costumi, ecc...), mi pare il suo film migliore...

Alcune sequenze poi le ho trovate incredibilmente romantiche, se non addirittura commoventi, come quella dell'incontro fra Django e la moglie – preceduto dallo splendido dialogo in tedesco (per non farsi capire!) - ed introdotta dalla splendida voce di Elisa..

Insomma, fra le uscite recenti, attendevo con ansia di vedere le nuove opere di Tarantino e di Anderson, a differenza di quest'ultimo e del suo pessimo The Master, devo ammettere che Django Unchained non mi ha deluso affato!

Splendida e molto ben sviluppata la recensione..complimenti!

tramblogy (ha votato 6 questo film) alle 1:25 del 4 febbraio 2013 ha scritto:

Mha...siete sicuri che non state avendo un allucinazione collettiva?....booo...???non capisco il grido al capolavoro , zittisco adeguandomi.

Fabrizia Malgieri (ha votato 9 questo film) alle 9:46 del 4 febbraio 2013 ha scritto:

Quando Christopher Vogler ha scritto "Il viaggio dell'eroe" (un interessante vademecum su come si scrive una sceneggiatura...è edito da Dino Audino, consigliatissimo a tutti), alla voce "script perfetto" probabilmente pensava ad un film come "Django Unchained". Sette archetipi (i personaggi principali) e dodici stazioni (le dodici tappe che l'eroe deve percorrere nel suo "viaggio", interiore e reale) che vi sfido a contare, snocciolati da Tarantino con la classe e l'ironia di sempre.Tralasciando riflessioni sul citazionismo e sull'accurata scelta della colonna sonora (da sempre cavalli di battaglia del cinema tarantiniano), ho semplicemente amato Cristoph Waltz, mentre ho trovato insopportabile e poco credibile Leonardo DiCaprio. E' un paradosso: mentre Waltz, rispetto al suo ruolo precedente (il colonnello Hans Landa), ha mutato la sua pelle da "cattivo cattivissimo" a "sagace mentore dal cuore puro" con una naturalezza impeccabile, ho trovato forzatissima la virata antagonista di Leonardo DiCaprio. Anche questa volta Tarantino non ha messo in discussione le mie aspettative, anzi ha confermato ancora una volta di avere la stoffa del grande cineasta e dell'autore perfetto. Bella fotografia, interessanti omaggi al cinema di Leone (e al genere "western all'italiana"), senza tralasciare una gustosa sequenza anti-narrativa (la scena degli uomini incappucciati a cavallo), uno degli aspetti che ha reso grandioso il suo cinema...da quando, nel suo film d'esordio, "Le Iene", aveva sconvolto i canoni narrativi dell'epoca domandandosi, in apertura del film, di cosa cazzo parlasse "Like a virgin" di Madonna.

Alessio Colangelo (ha votato 9 questo film) alle 10:28 del 4 febbraio 2013 ha scritto:

Concordo con quanto detto da fabrizia.