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8/10

Mal di pietre regia di Nicole Garcia

Romance
recensione di Leda Mariani

Tratto dall’omonimo romanzo di Milena Agus che dal 2007 ha vinto cinque premi, è entrato nella top list dello Strega e del Campiello, e che ha venduto, solo nel suo primo anno di pubblicazione, circa 150.000 copie, contando ad oggi 18 traduzioni, racconta la storia della giovane Gabrielle (Marion Cotillard), che cresce negli anni ’50 in un paesino del Sud della Francia, sperduto tra i campi di lavanda. In un’epoca in cui il suo desiderio di vivere le proprie passioni e cercare il vero amore è considerato scandaloso, se non folle, contro la sua volontà i genitori la obbligano a sposare José (Alex Brendemühl), un onesto ed amorevole contadino spagnolo che, secondo loro, la renderà una donna rispettabile. mostra spoiler

Gabrielle dovrà poi recarsi sulle Alpi, lasciando la sua casa che affaccia sul mare, per curare i suoi calcoli renali (il “mal di pietre” che dà il titolo al film) e lì incontrerà André (Louis Garrel), un affascinante e giovane reduce di guerra rimasto ferito in Indocina, che risveglia in lei le passioni sopite. Gabrielle desidera così tanto fuggire con André e liberarsi del matrimonio che considera una prigione, ed è talmente determinata, da alterare completamente la realtà attorno a lei, e quello che scopriremo, in un lento e progressivo svelarsi, ci lascerà esterrefatti.

Un film riflessivo e per nulla scontato, capace di raccontare un certo lato, molto intimo, della femminilità.

Caratterizzato da un tocco e da una profondità che definirei estremamente femminili, il film racconta in sostanza la profonda differenza che esiste tra amore ideale e reale, disegnata sulla mentre confusa del personaggio di Gabrielle: una donna istintiva, animalesca, che non vuole e non riesce a dominare le proprie pulsioni e passioni. Il terzo lungometraggio come regista dell’affermata attrice Nicole Garcia, dopo  L'avversario (2002) e Quello che gli uomini non dicono (2006), si conferma un lavoro dal tatto straordinario.

Il film nel complesso è molto elegante e valorizzato da una fotografia crepuscolare che rende i romantici paesaggi del Sud della Francia quasi sospesi tra il giorno e la notte. Il colore dominante è il ceruleo: quello della luce dell’alba e del tramonto, quello degli occhi di Gabrielle e di José, delle Alpi, dell’anima dei personaggi, quello del mare, metafora di una condizione spirituale e allo stesso tempo luogo catartico. Nonostante la presenza di riferimenti spazio temporali e storici anche precisi,  soprattutto nel parlare delle guerre (quella spagnola e quella in Indocina), forse la scenografia ha peccato nella ricostruzione degli ambienti, che sembrano completamente fuori dal tempo, ma questo non intacca assolutamente la resa complessiva della pellicola.

Mal di pietre è un lavoro molto fisico, intenso, scritto e girato assolutamente bene, in maniera morbida, precisa, approfondita, e curata. Ha un buon ritmo, non annoia mai, e il crescendo che per gradi porta al colpo di scena finale, è insospettabile. La storia ha qualcosa di semplice e magico: trasuda sentimento e poesia, dolore e senso di meraviglia. La regista è rimasta molto colpita dal romanzo: <<una storia che ha saputo esplorare l’anima e il destino di una donna>>. Anche i personaggi maschili sono molto ben sviluppati e recitati: sia José che Sauvage sono modesti, coraggiosi, silenziosi  e veri. La Garcia ha voluto comunque reinventare lo sviluppo narrativo del racconto originale, senza tradirne l’essenza, che rivive nella metaforica rappresentazione di una forza creativa che appartiene a tutti e che si rivela nel momento in cui i nostri sentimenti e desideri ci spingono ad andare oltre i nostri stessi limiti. Il potente motore che Gabrielle nel film definisce “la cosa principale”, non è che la passione, la nostra magia interiore, che nei 17 anni di vita del personaggio, non le fa perdere quella forza pulsante che fa apparire mediocre tutto il mondo attorno a lei. Grazie alla sua pazzia (come per comodità e codardia gli altri preferiscono definirla), Gabrielle non rinuncerà mai ai propri sogni, ma imparerà a riconoscere vari stadi e forme dell’amore. Sembra un personaggio disposto a sottomettersi, ma questo non accade mai veramente: la sua psicologia è davvero interessante, in tutta la sua verosimile complessità. Il personaggio di Gabrielle vive al crocevia tra un mondo all’antica ed un periodo di grandi speranze e libertà, proprio perché alla regista << interessano personaggi femminili che possiedono questa dimensione poetica così entusiasmante e vibrante>>.

Marion Cotillard si è messa alla prova con un ruolo estremamente complesso e difficile, con un personaggio borderline e per nulla scontato, al limite con la schizofrenia, al quale ha saputo dar vita in maniera convincente e sofisticata. La sua Gabrielle ferisce, commuove, affascina… è un personaggio più vero del vero, che porta alla luce un’intimità femminile difficile da spiegare, da rappresentare, ed un universo magico fatto di pensieri, gesti, ed analitici e profondi sguardi. Nicole Garcia ha fortemente voluto la Cotillard in questo ruolo: ha atteso che l’attrice si liberasse dai suoi impegni precedenti e ha fatto la scelta migliore, perché Marion ha perfettamente compreso il suo personaggio, valorizzandolo con una recitazione raffinata e sensuale, e restituendo appieno il lato anche animale di Gabrielle, oltre che la sua follia creativa. <<Gabrielle rappresenta il modo in cui io vedo l’immaginazione>>, ha dichiarato la Garcia, <<la sua forza e il potere che ha di guarire…Io stessa ho provato quello che la protagonista prova nel film, così come tutti: è una spinta che ci domina, universale>>. È istinto di vita e profondo amore per l’esistenza e per il suo infinitamente intimo mistero.

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