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6/10

Twende Berlin regia di Farasi Flani

Docu-fiction
recensione di Alessandro Giovannini

Upendo Hero, supereroe keniota con la missione di portare amore al prossimo, sensibilizzando su argomenti quali ecologia, vivibilità metropolitana e scambio culturale, affida ad un gruppo di rapper, gli Ukoo Fani, il compito di andare a  Berlino a scoprire la realtà culturale della suburbia.

Film realizzato dal progetto Urban Mirror, che si occupa della scoperta e valorizzazione degli spazi sociali in Kenya, Twende Berlin (=andiamo a Berlino) è una docu-fiction che mira a far scoprire realtà urbane nascoste ai più e valorizzare le tante forme di intervento comunitario auto finanziato di carattere creativo che animano il paesaggio urbano berlinese. Significativamente, il documentario è "presentato" da un gruppo di rappers del Kenya in viaggio in quella città, con il sottotesto implicito di una somoglianza della classe popolare di tutto il mondo nel suo assoggettamento allo spettro del capitalismo senz'anima (qui rappresentato dalla cosiddetta Gentrification, ovvero la pianificazione urbana fatta da e per i ricchi che tende a cancellare spazi sociali a basso costo o gratuiti per le classi meno agiate).

Il film, poverissimo tecnicamente (non più di una semplice handycam digitale) si snoda attraverso i quartieri più malfamati della città ed i suoi luoghi di ritrovo sociale, spesso vecchi edifici occupati abusivamente e trasformati in luoghi di socializzazione o studi musicali improvvisati. A questa illustrazione di taglio documentaristico di alternano i pezzi musicali dei rappers, ognuno incentrato sui diversi luoghi visitati. La piacevolezza di questi intermezzi sta ovviamente nell'indice di gradimento provato dallo spettatore nei confronti di questo geenre musicale.

Il film ha i demeriti dei documetari di denuncia sociale: rappresentare solo il lato debole della medaglia, senza lasciare voce in capitolo ai "cattivi", presenti solo come una specie di aura maligna che tutto distrugge, ed una propensione al pressapochismo informativo in favore della suggestione del frammento, dei fatti appena accennati, di qualche immagine di degrado. Se nella sua febbrile immediatezza ha sorprendentemente un qualcosa che lo avvicina a quel modo di fare cinema dei francesi della nouvelle vague agli albori, c'è da dire che l'estetica non è nemmeno presa in considerazione, e l'organizzazione del discorso rimane parecchio fumosa per tutto il film. Resta però l'impressione di una vitalità culturale sommersa e non rappresentata dai media tradizionali che è interessante e forse doveroso conoscere.

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