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R Recensione

8/10

La perdizione regia di Ken Russell

Biografico
recensione di Fabio Secchi Frau

  Il compositore austriaco Gustav Mahler, durante un lungo viaggio in treno verso Vienna e in compagnia della moglie, rivive i suoi ricordi e i suoi incubi peggiori. Dall'infanzia in una famiglia ebraica che desiderava per lui il prestigio come musicista fino alla sua conversione al cattolicesimo per agevolare il proprio sogno di diventare un mostro sacro della musica, lontano dal terrore di un crescente antisemitismo germanofono.

L’antisemitismo e l’arte della trasposizione cinematografica di una vita intera. Una strada in salita e anche minata.

  Va ammirata l’audacia dello sceneggiatore e regista Ken Russell (Messia selvaggio, Il boy Friend) nello scegliere proprio la “scottante” e complessa biografia del compositore austriaco ed ebreo Gustav Mahler che, per coltivare il sogno più ambizioso della sua carriera e facilitare la sua esistenza, rinnegò la sua fede e si convertì al cristianesimo. Anche se, purtroppo, le note di La perdizione non suonano come quelle del grande Maestro.

  Realizzata con il permesso e il benestare della figlia del musicista, la scultrice Anna Mahler (che manteneva comunque alcune riserve su ciò che Russell avrebbe raccontato… anche viste le precedenti opere che aveva diretto), La perdizione non si limita a narrare ciò che nell’esistenza del musicista accadde, esponendone quindi gli episodi più salienti; per alleggerire la trama, infatti, Russell pensò bene di ingrassarla con simbolismi e forti accenni erotici, ma soprattutto frammezzarla con sequenze oniriche che misero a nudo l’uomo, ancora prima che l’artista, di fronte alle sue paure.

  Narrativamente (dopo una prima sequenza del tutto simbolica), la storia inizia con il lungo viaggio in treno che Mahler e la sua consorte compiono per giungere a Vienna. Un viaggio che, come spesso accade in pellicole e libri, diventa un input per rivivere ricordi e la propria esistenza. In questo caso, Mahler entra anima e corpo in questa rievocazione, seguendo una via fortemente freudiana (non dimentichiamo mai che era prima di tutto un austriaco dell’Ottocento) che va dalle vessazioni paterne collegate alla sua voglia di riscatto fino alla morte della figlia. Tutto questo scatena in lui allucinanti incubi e sono proprio questi incubi a rendere ostico e non del tutto accessibile allo spettatore il significato di ciò che vede. In più, c’è la “questione ebraica”. Il suo essere giudaico-austriaco pare essere un punto cruciale della sua vita (anche se recenti storici hanno affermato che non fu mai realmente attaccato alla propria religione) e diventa causa di un conflitto eterno ed interiore quando, raggiunto un certo successo come direttore d’orchestra, vorrebbe arrivare ancora più in alto ed essere ricordato come un mostro sacro. Ma l’antisemitismo è già dilagante in Europa ed è necessaria una conversione al cattolicesimo, così che lui possa continuare la sua scalata.

  Permettendosi dei tempi lentissimi, “alla Russell”, e sfruttando al massimo tutti gli stereotipi che conosciamo (gli ebrei attaccati al denaro, è il principale), La perdizione va e torna, trasformandosi in un film a metà strada fra il biografico e la pellicola felliniana, sebbene non di prima qualità.

  Sicuramente poco politically correct, è comunque uno dei film meno distaccati e meno freddi del regista inglese, che evitò di togliere sottigliezze per non danneggiare il senso di partecipazione con il pubblico (lì dove fosse riuscito a stabilirla).

  Gustav Mahler è interpretato da un sempre sofferente Robert Powell che, nonostante i suoi occhi spalancati, il suo aspetto malaticcio e le sue urla, fa del compositore un mostro di egocentrismo e ambizione. Raggiunge, invece, il massimo dell’erotismo la performance di Georgina Hale nel ruolo della sua consorte. Da segnalare, la presenza della cantante e attrice Dana Gillespie, che collaborò alla colonna sonora e interpretò invece il soprano Anna von Mildenburg, amante del compositore.

  Curiosamente, il film rimane nella memoria per un altro personaggio, non del tutto estraneo alla trama, ma che qui viene raccontato solo a livello onirico: Cosima Wagner. Interpretata dall’attrice Antonia Ellis, è quanto di più sexy e nazista ci sia dentro La perdizione. Apparendo in una sequenza musical, la seconda moglie di Richard Wagner entra in scena vestita di pelle, con minigonna e un corsetto che le cinge il busto, ma soprattutto con un elmetto da militare in testa e una svastica sul posteriore, profanando tutti quelli che sono i simboli della religione ebraica e costringendo Mahler a compiere altrettante sconsacrazioni. L’ultimo incubo di Mahler che diventa realtà e che portò Russell a vincere il Grand Prix tecnico a Cannes.

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