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6/10

The Giver – Il mondo di Jonas regia di Phillip Noyce

Fantastico
recensione di Tomas Bonazzo

In un futuro non troppo lontano, un ragazzo, dotato di eccezionali capacità, si scontra con una società fredda e controllata. L'incontro con il “Donatore” gli permetterà di aprire gli occhi e trovare la forza di ribaltare l'ordine prestabilito.

Il romanzo di formazione The Giver, venne pubblicato ancora nel lontano 1993 dalla scrittrice ed ex fotografa Lois Lowry, di cui l'editoria italiana ha deciso di pubblicare poco o niente. Il romanzo distopico anticipa molti temi “triti e ritriti”, già esplorati in numerose pellicole moderne -anch'esse tratte da libri-, vere e proprie macchine da guerra ai botteghini, quali la saga di Hunger Games, Divergent e del maghetto Harry Potter. I fan, entusiasti dei romanzi della Lowry, noteranno -senza usare iperbole- centinaia, forse migliaia di differenze, per cui, comprensibilmente, l'autore eviterà di redigere un elenco puntato palesemente barboso, se non molesto. Sebbene il libro costituisca un modello per numerose saghe, la pellicola è solo l'ultimo giocattolo hollywoodiano e, purtroppo, non è esente dai nuovi dettami dell'establishment di genere Young-Adult distopico. Gli elementi ci sono tutti: una società malfatta, i personaggi rigorosamente teenager, un paio di attori “da oscar” per alzare il livello recitativo generale e la possibilità di poter ripristinare, grazie a doti specifiche, insite solo nel protagonista, lo status quo. Il film offre numerosi spunti interessanti, ripresi dal libro, descrivendo le conseguenze di una società che ha deciso di non vivere schiava delle emozioni, quindi priva di affetti, ma anche di odio e violenza: una società monocromatica, in bianco e nero. L'idea originale e stimolante viene descritta frettolosamente nel film non permettendo al pubblico di entrare, di vivere all'interno dell'ignobile comunità, per cui la complessità del romanzo si riduce ad una scelta stilistica: se non c'è il colore è tutto brutto, se c'è il colore è tutto bello. Qualche ripresa aerea permette di sbirciare le suggestive architetture, poco futuristiche, conseguenza evidente di linee ed espressioni di illustri predecessori, da Utzon a Libera , sino ai più recenti Meier e Zaha Hadid. Il regista Phillip Noyce (Il santo, Il collezionista di ossa, Salt) si limita a dirigere in modo anonimo e gli attori a muovere bocca e mani, spesso anche contemporaneamente. La pellicola ha il merito di riunire due ottimi attori sotto lo stesso tetto: Meryl Streep, glaciale e distante, ha, nella sua carenza di espressività, la sua forza, mostrando esteriormente un'esistenza privata della sua umanità e, quindi, solo essere e non più essere umano. Jeff Bridges si diverte, invece, nel farsi crescere la barba (ci provò anche in Iron Man), mostrando quanto poco, proporzionalmente al suo impegno, creda nel progetto.

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