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9/10

Americani regia di james foley

Noir
recensione di Alessandro Pascale

Un'agenzia immobiliare di Chicago, per risollevarsi da una difficile situazione economica, lancia una sfida a tutti i suoi dipendenti. Chi riuscirà a vendere di più avrà in premio una Cadillac Eldorado, il secondo riceverà un servizio di coltelli, per tutti gli altri licenziamento imminente. I dipendenti daranno vita ad una lotta feroce pur di sopravvivere all'interno dell'azienda.

“Io ho fatto 970mila dollari l'anno scorso. Tu quanto hai fatto? Vedi amico, ecco chi sono io. E tu non sei niente. Sei una brava persona? Non me ne frega un cazzo. Un bravo padre? Vaffanculo! Va' a casa a giocare coi ragazzini!”

“Sei tu Levine? E ti consideri un venditore figlio di puttana? Vorrei augurarvi buona fortuna ma sareste capaci di buttare via anche quella…, quanto a te spero che Mitch e Marrey ti facciano un bel favore e ti sbattano fuori.., perché un fallito sarà sempre un fallito”

“Deficiente, testa di cazzo. Tu Williamson, dico a te, stronzo! 6mila dollari mi costi. 6-mila-dollari, e una Cadillac; e tu lo sai. Come rimedi adesso? Come pensi di rimediare?! Stronzone. Pezzo di merda. Chi ti ha insegnato questo mestiere, coglione testa di cazzo imbecille?! Chi ti ha dato il permesso per stare in mezzo agli uomini?! Ahh, me la pagherai cara questa! Andrò a raccontare tutto a Mitch & Murray! Andrò a dirlo a Lemkin! Me ne sbatto di chi ti ha raccomandato, a chi lecchi il culo, a chi succhi l'uccello, ti faccio licenziare! Io ti giuro che... [...] Qui campiamo tutti strizzandoci il cervello. Sarò da lei tra un secondo. Ti danno uno stipendio per aiutarci. C'arrivi o no a capirlo questo? Per aiutarci. Non per mettercelo nel culo!!! Aiutare gli uomini che vanno sulla piazza, a cercare di guadagnarsi da vivere! Mica qua dentro, davanti al computer! E sai che c'è di nuovo?! Io spero che sia stato tu a rubare, che adesso dirò all'amico qui una cosina che ti manderà in galera! Se tu non fossi la nullità che sei, conosceresti la regola fondamentale nella vita: tenere la bocca ben chiusa finché non si sa quello che si dice. Sei un ragazzino.”

 

Quelli qua sopra sono solo tre esempi meravigliosi che esemplificano il motivo per cui Americani è un film che va assolutamente visto. Anzi: Americani è un fottuto film che va assolutamente visto cazzo, e vedete di non fare gli stronzi facendo gli indifferenti!

Il Morandini ha sintetizzato segnalando una stima indicativa per cui ci sarebbero circa 4-5 parolacce al minuto. Ma non è questo il punto, perchè il linguaggio sboccato fine a sé stesso lascia il tempo che trova. Ma il discorso cambia quando a sentenziare con violenza sputando addosso insulti sono il miglior Alec Baldwin possibile, un Jack Lemmon straripante (non per niente ottenendo riconoscimenti come miglior attore tra Festival di Venezia e National Board of Review Awards), un Al Pacino classicamente furoreggiante (nomination agli Oscar ed ai Golden Globe come miglior attore non protagonista), nonché delle bestie da soma come Ed Harris e Alan Arkin. E non citiamo Kevin Spacey non tanto perchè non se lo meriti, ma perchè tra tutti gli tocca il ruolo meno sboccato ma più “da stronzo”: il “capo” ufficio che sopporta silenziosamente e sopporta strilli e urla vendicandosi appena possibile con le peggiori pugnalate alle spalle.

Quando ci si trova davanti un cast del genere non ci sarebbe bisogno di motivazioni ulteriori per decidere di guardare Americani, godendo come ricci del grande cinema che ne viene fuori. E' quindi motivo di giubilo comunicare che ci sono altri motivi per cui tale opera è lodevole: i dialoghi in primo luogo, senza i quali ci saremmo persi alcune spettacolari interpretazioni iraconde e nevrasteniche come quella in cui Alec Baldwin insulta i suoi subordinati (vedere le prime due citazioni sopra). Oppure come quella in cui è Al Pacino a scattare dopo una partenza quieta e gigioneggiante, strapazzando Spacey (vedi terza citazione sopra).

Onore allo sceneggiatore David Mamet quindi, senza il quale tanta bravura attoriale non avrebbe trovato materia così pura da esprimere. La violenza verbale concepita da Mamet non è però fine a sé stessa, bensì messa al servizio di una squisita denuncia sociale della condizione alienata di uno dei lavori più fastidiosi che ci siano mai stati sulla faccia della Terra: venditori di lotti di terreno. Nessun diritto. Nessuna garanzia. Se non vendi sei fuori e puoi urlare fastidiosamente quanto vuoi senza che io ti ascolti. Se vendi vinci un automobile e hai diritto di urlare quanto vuoi senza che io ti ascolti. E se gira male per troppo tempo sono cazzi vostri: vi mando Alec Baldwin a dirvi che siete tutti licenziati se non fate qualche miracolo nel giro di una settimana. La lotta di classe non esiste. I padroni li si odia ma manco li si vede di striscio. Rimane solo la possibilità di una guerra intestina strisciante e fatta di ogni colpo basso possibile, fino a concepire i furtarelli da poche migliaia di euro. Una squisita denuncia politica di quanto può diventare drammatico e rude il più bieco capitalismo.

Onore anche alla regia di James Foley, in grado di aggiungere quel tocco di tecnica cinematografica di lusso e non fossilizzarsi su una sterile rappresentazione filmico-teatrale. Nonostante infatti la scena si giochi quasi interamente tra un paio di locali chiusi Foley affossa ogni momento morto con un ampio utilizzo di carrellate, movimenti rapidi di camera, primi piani, grandangoli e via dicendo. Il ritmo è scattante e diabolico quando la scena è ambientata in ufficio ma pur calando d'intensità e loquacità ne guadagna in stile e suggestività quando si sposta tra esterni e locali notturni: qui entrano in gioco le scenografie di Jane Musky Kohout, che dipingono ritratti degni dei migliori film noir degli anni '40. Non c'è da stupirsi quindi se fin dalla prima scena Ed Harris vi sembrerà un diligente detective socio di Humphrey Bogart.

Incredibile che un film del genere sia stato così mal considerato (dimenticato?) in Italia...

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