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10/10

Il Grande Lebowski regia di Joel Coen

Commedia
recensione di Alessandro Pascale

Los Angeles, anni novanta: Jeffrey Lebowski, detto "Drugo", è un hippie sopravvissuto agli anni sessanta, all'era del flower powere delle proteste contro la guerra del Vietnam. Cronicamente pigro, vivacchia senza troppi problemi tra una partita di bowling con gli amici Walter e Donny, una fumata di marijuana e grandi quantità di White Russian.

A causa di un'omonimia con un ricco magnate, si innesca un'intricata serie di vicende che vedranno Drugo invischiato, suo malgrado, in rapimenti e riscatti, in artisti pazzoidi e giocatori di bowling che si credono delle divinità.

 

Signor Lebowski: Lei ha un impiego Signor Lebowski?

Drugo: Un momento, aspetti che le spieghi una cosa: IO non sono il Signor Lebowski, LEI è il Signor Lebowski. Io sono Drugo, è così che deve chiamarmi, capito? O se preferisce Drughetto oppure Drugantibus oppure Drughino, se è di quelli che mettono il diminutivo ad ogni costo...”

Drugo: Sai cosa diceva Lenin? "Tu cerca la persona che ne trae beneficio, e..., e... insomma...

Donny: Obladì Obladà!

Drugo: ...insomma... avrai... Walter, capisci cosa voglio dire?

Donny: Obladì Obladà!

Walter: Quella fottuta puttanella!

Donny: Obladì Obladà!

Walter: Quella... vuoi chiudere quella boccaccia? Non Lennon, Lenin! Vladimir Ilyich Ulyanov!

Donny: Ma di che cazzo sta parlando?”

Si doveva iniziare così, con due citazioni di un paio di dialoghi tra i più significativi per raccontare l'essenza de Il Grande Lebowski. Da queste poche righe emergono più di mille altre parole la fantasia, la sfrenata anarchia, il surrealismo schizoide, il contrasto continuo tra le diverse soggettività (specchi talvolta di concezioni della vita completamente agli antipodi, come dimostra il contrasto tra i due Lebowski omonimi), e la spensieratezza con cui il nostro eroe (che qualcuno potrebbe trovare irresponsabile) affronta gli eventi della vita, non avendo neanche bisogno di seguire i consigli di un fantomatico “straniero” (“Prendila come viene!”) vestito da cowboy e incontrato in un bowling.

E' un film hippie, anzi post-hippie, in quanto il Drugo è un sopravvissuto delle lotte degli anni '60, e vive ancora di gusto nel suo mondo psichedelico fatto di droga (la mite marijuana), white russian e classic rock (indimenticabile la scena in cui Drugo guida fumando una canna e sbattendo la mano contro il tettuccio al ritmo di Lookin' Out My Back Door dei Creedence Clearwater Revival).

La musica è una grande protagonista ma a rendere Il Grande Lebowski un capolavoro assoluto del cinema contemporaneo è ogni suo elemento: Jeff Bridges è straordinario, e sfonda nel ruolo diventando un'icona come in tempi recenti era riuscito solo al Johnny Deep di Paura e delirio a Las Vegas.

Ma è il cast nel suo complesso che è sublime, non lasciando mai un attimo di tregua allo spettatore: John Goodman, nei panni di Walter, reduce dal Vietnam con qualche problemino psicologico, è straripante per verve comica e dimensione massiccia (in tutti i sensi) del personaggio. John Turturro, Steve Buscemi, Julianne Moore e Philip Seymour Hoffman sono star di lusso che si ritagliano ognuna il suo spazietto in maniera armonica con il contesto corale.

Il fiorire di situazioni ambigue, scene semi-grottesche e personaggi imbarazzanti (il trio dei nichilisti...) aggiunge quel tocco di pazzia che rende grande l'opera dei Coen.

Questi, controllando ogni aspetto saliente del film (regia, soggetto, sceneggiatura e produzione) confermano la loro natura di grandi eredi della tradizione autoriale americana, sfoggiando una maestria stilistica e una capacità narrativa a suo modo unica, in grado di essere il contraltare commediografo perfetto ai dialoghi intellettualistici dei film di Tarantino, come di realizzare scene con un'eleganza memore della lezione dei maestri Coppola e Scorsese, ma in grado di sopravanzarla con una capacità perfetta di maneggiare l'estetica post-moderna: si pensi all'attenzione spasmodica data fotograficamente ai dettagli, al soffermarsi sulle situazioni secondarie devianti l'attenzione rispetto al canovaccio principale, e soprattutto alla capacità di giocare con i generi, mischiando un noir surreale con un timbro da commedia esilarante (a tratti si finisce in un comico stile fratelli Marx), che non esita a combinarsi con sprazzi di grottesco (il dito del piede mozzato) e di dramma.

Perchè in fondo la vita non è monotematica, e merita di essere un riassunto di tutte queste tendenze. È un po' come il bowling insomma, dove anche se sei un fenomeno a volte capita che la sfiga voglia che un birillo resti in piedi. E allora prendila come viene anche tu. E goditi uno dei grandi capolavori del cinema americano più recente (nonché probabilmente l'opera più godibile e leggendaria dei Coen).

V Voti

Voto degli utenti: 9,4/10 in media su 12 voti.
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loson79 10/10
alexmn 10/10
Cas 9/10
drugo 10/10
swansong 10/10
Augustus 10/10

C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 9 questo film) alle 14:44 del 2 dicembre 2010 ha scritto:

A questo punto meglio il nazionalsocialismo... almeno alla base ha l'ethos!

Uno dei film più divertenti e deliranti che abbia mai visto I Coen sono ai vertici, come sempre. Fottuti geni. Ma Jeff Bridges è veramente un qualcosa di monumentale! Ecco, monumentale è l'aggettivo giusto per questo film: onore e livore, commedia e tragedia, non-sense e profondo senso. Splendido!

loson79 (ha votato 10 questo film) alle 20:14 del 15 dicembre 2010 ha scritto:

Commento da incorniciare e gustosa rece.

Cas (ha votato 9 questo film) alle 22:30 del 23 dicembre 2011 ha scritto:

Fenomenale, spassoso, epocale. Una sceneggiatura che non lascia un attimo di tregua, un film strepitoso!

swansong (ha votato 10 questo film) alle 16:11 del 28 gennaio 2013 ha scritto:

Quello che preferisco dei Coen senza dubbio! Mi ricordo ancora quando lo vidi al cinema...credo di non aver mai riso tanto in vita mia. Un film esilarante, ma, al tempo stesso - come giustamente osserva Marco - di una profondità straordinaria. John Goodman addiruttura imbarazzante tanto e bravo..Uno dei primi film acquistati per la mia ormai ben nutrita videoteca..ed uno di quelli che si fa rivedere e rivedere senza stancarti mai. Da mettere su quando sei giù d'umore..

Marco_Biasio (ha votato 9 questo film) alle 14:00 del 29 gennaio 2013 ha scritto:

Peraltro trovo sia, assieme a Fear and Loathing in L.A., una delle pellicole chiave - anche e soprattutto per l'approccio narrativo surreale ed allucinato - in grado di raccontare, sotto una luce diversa, il crollo e la disintegrazione dei pilastri che sorreggevano il mondo hippy, la fine di quelle illusioni, la trasformazione di quei valori in gretta autodistruzione e pura meschinità. Sono due grandi metafore molto amare, se le si vuole vedere sotto questo aspetto. Sia il Drugo che Raoul Duke sono figli ripudiati, umiliati, offesi di Woodstock, scaraventati in una società che li ha prima illusi e poi marginalizzati. E la loro esistenza non ha più senso alcuno.

Paul Ghetti (ha votato 10 questo film) alle 12:06 del 9 aprile 2015 ha scritto:

Applausi, proprio così. Tra l'altro quanto è bella la scena in cui Drugo, colpito violentemente sviene ed ha una visione di donne e bowling con quella canzone di Bob Dylan da pelle d'oca? "Se mi dai cento dollari te lo succhio.. dove vai?" D:"corro a procurarmi un bancomat". Favoloso.