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9/10

Simon Konianski regia di Micha Wald

Commedia
recensione di Alessandro Pascale

La famiglia ebrea dei Konianski è composta da Simon, trentacinquenne, eterno adolescente, da poco lasciato dalla donna della sua vita; Ernest, suo padre, costretto ad ospitarlo temporaneamente, fa di tutto per cacciarlo di casa. Hadrien, figlio di Simon, un ragazzino appassionato dei terribili ricordi del nonno Ernest, ex-deportato. E poi Maurice, l'anziano zio paranoico, e la zia Mala dalla parlantina facile. Con la scomparsa di Ernest, il gruppo s'imbarca in un viaggio per seppellirlo in Ucraina, tra diverse disavventure...

 

Micha Wald fa quadrare il cerchio e ci regala una delle commedie più trascinanti degli ultimi anni, trovando il modo di conciliare grandi autori come i fratelli Coen e Woody Allen con il filone road-movie di formazione, passando per il meraviglioso mondo della cultura ebraica e la tragedia dell’olocausto. Il tutto eseguito con una maestria incredibile. Scandagliamo l’opera: il film è divisibile in due parti nette: nella prima si assiste all’approdo di Simon Konianski, trentacinquenne laureato in filosofia senza uno straccio di lavoro, un collare al collo ormai inutile, una posizione filo-palestinese e una crisi con la moglie che si abbandona tra le braccia di Bruno, robusto omaccione di colore che diventa l’incubo di Simon, deciso a recuperare il rapporto con la sposa e riunire la famiglia formata anche dal piccolo Hadrien.

Nel frattempo però è costretto a vivere “temporaneamente” dal padre Ernest, un vecchio reduce dei campi di concentramento che cerca in tutte le maniere di sbarazzarsi del figlio. Da questa parte iniziale emerge il parallelo con il mitico Tanguy, altro trentenne ormai maturo che i genitori cercano di cacciare in ogni maniera di casa non riuscendovi. Ma diventa subito evidente anche il paragone con i fratelli Coen, per il tocco levigato, grazioso e raffinato nel dare ritmo agli eventi, e più nello specifico nelle scene esilaranti di incontro del vecchio Ernest con il rabbino, che rievocano quelle di A Serious Man. Simon invece è un personaggio-simbolo della condizione contemporanea: privo di radici, in nome dei propri studi e della ragione rifiuta una cultura giudicata primitiva e arretrata, gode nello scandalizzare gratuitamente il prossimo e la sua verve polemica e nevrotica, oltre che il suo aspetto, lo rendono assai simile ai personaggi secolarizzati, disillusi ma mordaci di Woody Allen.

Fin qua è già un gioiello: i personaggi sono costruiti in maniera incantevole, perfino quelle comparse che in realtà più che essere tali rubano spesso la scena ai protagonisti (su tutti lo zio Maurice, convinto che le SS gli stiano dando ancora la caccia); ma è il ritmo generale dell’opera a convincere, la regia fresca, le inquadrature sempre caparbie, le musiche azzeccatissime, l’umorismo straripante, l’occhio discreto ma curioso che riesce a mostrarci tutto l’essenziale senza aggiungere dettagli inutili o noiosi.

La scomparsa del padre di Simon, malato da tempo, apre la seconda fase dell’opera, trasformando la succosa commedia da camera in un picaresco road-movie barcollante tra lo spirito indie di Little Miss Sunshine e il viaggio di formazione rocambolesco ma appassionato di Ogni cosa è illuminata. Wald riesce con tocco miracoloso a far convivere la tematica dell’olocausto (con tanto di visita al campo di concentramento) con un racconto divertente e suggestivo, in molti casi al limite del grottesco e del surreale, con apici geniali di comicità che si legano ad una serie di eventi educativi. Un capolavoro questo Simon Konianski, che vale davvero la pena di essere visto e diffuso tra i monti e le valli. E siamo sicuri che nessuno chiederà il rimborso del biglietto.

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