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5/10

Where In The World Is Osama Bin Laden? regia di Morgan Spurlock

Documentario
recensione di Alessandro Pascale

il documentario mostra Spurlock mentre visita vari paesi associati o colpiti da Bin Laden. Il film contiene brevi interviste a molte persone riguardo Bin Laden ed il fondamentalismo islamico, e riguardo gli Stati Uniti d'America e la loro guerra al terrorismo. Spurlock è alla ricerca di Bin Laden, e chiede persino a persone fermate a caso per strada dove si trovi il terrorista. Il film è inframmezzato da immagini della moglie di Spurlock nelle ultime fasi della gravidanza; gran parte dei commenti di Spurlock si basa sulle preoccupazioni di un neo-genitore.

Morgan Spurlock, lo ricorderete tutti, è quel genio che qualche anno fa (2004) se ne uscì con l’indimenticabile Super size me, documentario che convinse gente come il sottoscritto a non mettere mai più piede in un McDonald (posto in cui peraltro andavo già assai poco per motivazioni ideologiche) per le evidenti nefandezze igienico-alimentare. Dopo aver svelato al mondo i terribili effetti secondari di patatine e paninazzi Spurlock decide di gettarsi a capofitto nella politica estera americana, mettendone in discussione le fondamenta imperialiste e illiberali.

Lo spunto viene offerto dalla decisione un po’ burlesca di capire dove sia finito Osama Bin Laden, vera grande minaccia per la sicurezza del proprio futuro nascituro, andandolo a cercare nei meandri del Medio Oriente, fino alle più sperdute colline afghane. Il viaggio-indagine giunge alla meta finale solo dopo un lungo percorso di preparazione individuale, che vede prima una divertente preparazione “militare” e psico-fisica, poi (e qui si entra nel pieno dell’opera) nel tentativo di conoscere in maniera più approfondita il mondo di arabi e musulmani, viaggiando in diversi paesi come Marocco, Egitto, Arabia Saudita, Israele e intervistando la gente comune trovata per strada, iniziando sempre scherzosamente con la fatidica domanda: “Scusi sto cercando Osama Bin Laden, sa dirmi dove lo trovo?”, con conseguenti occhi sgranati o sorrisetto di circostanza dell’intervistato.

Un artificio inizialmente assai divertente ma che alla lunga diventa stucchevole e un po’ noioso. Purtroppo Spurlock non riesce a mantenere un equilibrio tra ritmo narrativo, approfondimento cultural-cronachistico e aspetto ironico-anfitrionesco. L’approfondimento della tematica si presta infatti assai poco allo humour che viene così schiacciato da una serie incalzante di interviste che per noi Europei, già informati e consci delle diversità del mondo arabo e dei limiti evidenti della politica estera americana, appaiono assai poco rilevanti, non facendo che confermare nozioni già assodate.

Un limite questo che va compreso alla luce dell’ottica autoriale di destinare il documentario in primo luogo al mercato interno americano, nella speranza di risvegliare un popolo imbambolato e privilegiato da ormai troppo tempo e fargli aprire gli occhi sulla vera causa che ha permesso la nascita di un qualsiasi Bin Laden: non la pazzia di un singolo, ma la stessa politica estera ed economica di un paese ancora saldamente imperialista e neocolonialista, che sostiene dittature e finti regimi democratici in cambio del petrolio o del controllo territoriale. Non fidatevi insomma degli splendidi primi minuti del film che giocano tra animazione, estetica digitale e ritmo travolgente. Purtroppo non durano, ed anzi scompaiono sommersi dalle parole. Parole lodevoli, per carità, ma che scatenano alla lunga un sacco di sbadigli.

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