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9/10

Il Mistero Del Falco regia di John Huston

Noir
recensione di Antonio Falcone

Il detective privato Sam Spade si trova coinvolto in un caso piuttosto intricato, con più persone, non propriamente limpide, interessate ad una preziosa e misteriosa statuetta. Tra queste una bella donna, ambigua e affascinante; ma Spade non è tipo da perdere la testa. Il suo socio Miles è stato ucciso ed occorre scoprire il colpevole…

Primo film di John Huston e primo ruolo di rilievo per Humphrey Bogart, The Maltese Falcon è considerato l’archetipo del genere noir, un  termine usato dal critico francese Nino Frank per indicare alcuni film importati in Francia (noir era la copertina dei libri gialli francesi). I suoi precedenti vengono individuati nei gangster movie prodotti dalla Warner negli anni 30, nel realismo poetico francese di Carnè e Duvivier, nell’espressionismo tedesco (Fritz Lang) e nella letteratura pulp americana.

Tratto dall’omonimo romanzo di Dashiell Hammett e sceneggiato dallo stesso Huston, il film ha inizio nell’ufficio degli investigatori privati Sam Spade (Humphrey Bogart) e Miles Archer (Jerome Cowan), dove si presenta un’affascinante donna (Mary Astor), che chiede loro di indagare su un certo Thursby, che avrebbe insidiato sua sorella; Archer  avvia le indagini, ma viene ucciso, e lo stesso avviene per Thursby. Entra in scena Spade e riesce a smascherare la donna misteriosa, il cui nome è Brigid O’ Shaughnessy: in realtà si è inventata tutto e vorrebbe impossessarsi di una preziosa statuetta d’oro raffigurante un falco, intorno alla quale ruotano altri torbidi personaggi, Joel Cairo(Peter Lorre) e Kasper Gutman (Sidney Greenstreet); Spade riuscirà ad entrarne in possesso, per scoprire, tra lo stupore di tutti, che si tratta di un falso, Infine consegnerà Brigid alla polizia, pur essendone fortemente attratto: è stata lei ad uccidere Miles.

Se le  precedenti trasposizioni cinematografiche del romanzo (The Maltese Falcon, 1931; Satan Met a Lady, 1936) sono passate inosservate, Huston, tra suspence e colpi di scena, riesce invece a centrare il bersaglio, rispettando la prosa asciutta ed essenziale propria di Hammett; pur dando grande rilevanza ai dialoghi rispetto all’azione, sottolineando abilmente le sfumature psicologiche dei personaggi, riesce a tener viva l’attenzione grazie ad un montaggio (Thomas Richards) serrato e incalzante, potendo contare sull’apporto di Arthur Edeson alla fotografia che, giocando con luci ed ombre (ad esempio, all’interno  dell’ufficio di Spade), dà al film, tutto girato in interni, un’atmosfera visiva affascinante, facendo così passare in secondo piano qualche incongruenza nel plot narrativo.

Se tutti gli attori sono abili nel sostenere l’intricata vicenda (Lorre languido e luciferino, Greenstreet sinistramente sornione, la Astor ambigua dark lady), di grande rilievo appare l’interpretazione di Bogart: uno Spade dalla beffarda ambiguità morale, cinico in apparenza, il cui fascino consiste nella presenza di varie dicotomie e nell’ostinato rispetto di un proprio, rigido, codice di comportamento. Finale semplicemente splendido:dopo che Spade ha spiegato ad un poliziotto che la statuetta è fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni (citazione shakespeariana e amara riflessione sull’ inutile affannarsi dell’uomo a dare un senso alla propria vita), la macchina da presa si sofferma sul volto di Brigid chiusa in ascensore con un poliziotto e sullo sguardo malinconico di Spade, che si allontana scendendo le scale, uomo smarrito e disilluso, ma ancora capace di lottare e credere in qualcosa, fosse pure soltanto il rispetto per sé stesso e le proprie convinzioni morali.

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