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7/10

The Yards regia di James Gray

Drammatico
recensione di Cristina Coccia

Dopo il brillante esordio con Little Odessa, James Gray ripropone una storia che, nella trama, non può non ricordare Carlito’s Way, e i thriller appartenenti a quel genere. Anche in questo caso, il protagonista, Leo, è un apparente loser che, uscito di prigione, tenta di reinserirsi nella società, deciso a cambiare vita. Si affida al suo miglior amico, Will, fidanzato e futuro marito di Erica, la donna che Leo segretamente ama, e ad un suo zio che gestisce una ditta di riparazioni delle ferrovie e che corrompe le commissioni per ottenere appalti, talvolta sabotando anche le aziende concorrenti. A causa loro, Leo si troverà nuovamente nei guai e dovrà riprendersi, in un modo o nell’altro, la sua vita.

La sceneggiatura scritta con Matt Reeves è notevole, ma la pellicola ebbe poca fortuna con la critica e con il pubblico. È un noir che parte sottotono, che brucia tutta la metafora del titolo (che si riferisce agli scambi ferroviari) già nell’incipit, ma che prosegue piacevolmente tratteggiando i personaggi tramite le loro azioni e le loro non azioni. La prima scena si apre con una ripresa dal treno con cui Leo inizia a percorrere il suo nuovo cammino, ma il suo viso trasmette uno stato d’animo disincantato, avvilito, poco promettente, e tutto preannuncia che, primo a o poi, qualcosa lo porterà a deragliare.

The Yards è un placido precursore dell’omologo I padroni della notte, forse non possiede il carisma della pellicola con Eva Mendes, ma è un’opera di prim’ordine, dotata di tecnica e grazia considerevoli, con un pregevole cast (magnifico il duo Wahlberg/Phoenix) ed una superba colonna sonora di Howard Shore. Bellissima la fotografia di Harris Savides, immersa nei toni caldi, accompagnata dai bellissimi primi piani di Charlize Theron in versione dark, o del presuntuoso e poi disperato Joaquin Phoenix, già grandissimo interprete feticcio di Gray.

Ovviamente Mark Walhberg è aiutato da un ottimo cast, ma denota ugualmente grande personalità nella sua stupenda interpretazione di Leo Handler: memorabile nella scena in cui deve uccidere un presunto testimone, ricoverato in ospedale, ed ha il volto semicoperto da una mascherina che lascia intravedere unicamente i suoi intensi occhi atterriti dall’angoscia. È sicuramente un film passato in secondo piano rispetto agli altri lavori di Gray, ma non manca delle sue note caratteristiche. Probabilmente è di più difficile lettura, possiede una bellezza che passa inosservata, ma che resta impressa e che porta un attento osservatore a comprendere in maniera più precisa i tratti distintivi della personalità di uno dei migliori registi dei nostri tempi.

È una semplice storia di esistenze che si trovano a dover affrontare una sorte avversa, che non riescono sempre a seguire la retta via, che faticano a rimettersi in carreggiata, ma che, nonostante tutto, trovano la forza e il coraggio di tornare in piedi, di riprendere il treno che avevano perso e di continuare il loro cammino. La vita è sempre un sottile equilibrio tra la nostra integrità e le nostre debolezze: c’è sempre il rischio di cadere, ma per andare avanti è necessario decidere coraggiosamente da che parte stare e procedere in quella direzione senza lasciarsi condizionare dal giudizio altrui. Forse il deragliamento è uno dei pochi modi per comprendere le nostre vulnerabilità e sicuramente, nella maggior parte dei casi, è la maniera più sicura per tirare fuori la forza di combattere contro i soprusi di coloro che, erroneamente, vogliono dimostrare di essere più forti senza averne il diritto.

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