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A James Gray

James Gray

Ci sono registi che, nonostante abbiano lavorato ad un numero ristretto di pellicole nella loro carriera, sono riusciti a donare al pubblico un’idea ben precisa di come possa essere sfruttata al meglio l’immagine cinematografica e di cosa sia capace di trasmettere se plasmata dalle mani e dalla creatività di chi possiede un vero talento, unito all’esperienza e ad una spiccata sensibilità artistica. James Gray è uno di questi talenti, uno dei pochi registi che, sfruttando la netta divisione in generi del cinema statunitense, con le sue rigide regole interne, è stato capace di non deludere mai e di conferire alle sue opere una connotazione classica e originale al tempo stesso. Percorrendo le linee guida del cinema narrativo americano degli anni ’40 e ‘50, Gray realizza quattro stupende pellicole, rivisitando il noir, il gangster, e il dramma sentimentale in chiave contemporanea, riproponendoli con sceneggiature di altissimo livello e soprattutto dipingendo le sue inquadrature con tinte malinconiche ed evanescenti.

Il fascino delle immagini cinematografiche di questo autore sta nella percezione che tra l’occhio e la scena ci siano sempre dei filtri, degli ostacoli che, se da un lato ci impediscono di vedere in maniera nitida, dall’altro ci danno l’impressione che la mente umana non riesca a cogliere la realtà in modo obiettivo e neutrale. Vediamo quello che la nostra percezione e i nostri schemi mentali ci danno modo di vedere e, spesso, visivamente, è impossibile cogliere tutto quello che accade al di fuori della nostra mente. Il cinema di Gray ritrae questa impossibilità di giungere oggettivamente alla realtà, di catturarla in un fotogramma, giacché si presenta a noi perennemente intrisa di illusioni, irrazionali stati d’animo che condizionano la nostra percezione e la successiva elaborazione mentale dei dati sensibili. Per questo motivo, lo scenario esterno è quasi sempre invisibile e, cercando di coglierlo, ci distacchiamo ancora di più da esso, ce ne allontaniamo modificando i contorni di ciò che vediamo, destrutturando e plasmando ciò che ci appare in base ai nostri desideri. I nostri occhi si posano su qualcosa che, spesso, non è quello che vorremmo vedere, o che non rispecchia le nostre aspettative, e cerchiamo di comprendere ciò che vediamo, ma solo in funzione delle nostre incertezze. È questo l’ostacolo che si pone tra noi e la realtà: la paura e l’indeterminatezza che riguarda ciò che desideriamo, come se potesse sfuggirci o svanire. Ci invaghiamo di qualcuno come quando ci lasciamo stregare dalla scena di un film, ma Gray vuol farci andare oltre la visione, disturbandola e rendendola impalpabile. La smaterializza quasi, come un’immagine riflessa nell’acqua o in un elemento liquido che, lentamente, evapora per poi dissolversi per sempre.

In queste immagini che svaniscono, che quasi vengono decomposte e consumate dal nostro sguardo di spettatori, si muovono i bellissimi corpi degli attori di Gray, Joaquin Phoenix su tutti, interprete in perfetta sintonia con la visione di questo regista. Dove non può arrivare la macchina da presa arriva la sua recitazione sofferta, difficile, patita fino all’ultimo gesto, capace di rapire e di incantare sotto tutti i punti di vista. L’immedesimazione è spiazzante, assoluta. Gray dichiarò in un’intervista: "Un grande regista come Ernst Lubitsch ha detto che anche la persona più onesta e rigorosa di questo mondo è stata ridicola almeno due volte al giorno. È questo che provo ad affrontare nei film. Le persone dicono di volere realismo, ma il realismo da solo non è interessante. Quello che cerco è uno stato esistenziale più intenso. Questo credo debba fare anche il cinema.” Lo stato esistenziale che Gray cerca di dare viene trasmesso perfettamente da Phoenix che, in pochi istanti, riesce a passare con naturalezza dalla determinazione di Willie Gutierrez in The Yards, alla fragilità del dolce e sensibile Leonard di Two Lovers. Phoenix è per Gray quello che de Niro fu per Sergio Leone. E Gray è probabilmente il termine ultimo della naturale evoluzione del cinema di Leone, che passa per Eastwood, concludendosi, ora, nelle immagini sfumate e impercettibili di questo straordinario cineasta.

Nato nel Queens, a New York, nel 1969, Gray studia alla School of Cinematic Arts della University of Southern California e, nel 1994, a 25 anni,esordisce con Little Odessa, un noir metropolitano con Tim Roth e Vanessa Redgrave. Dopo sei anni, torna con The Yards, presentato a Cannes nel 2000 con un cast formato da Phoenix, Mark Wahlberg e dalla divina Charlize Theron. Nel 2007 realizza I padroni della notte, di nuovo presentato in concorso a Cannes. Nel cast c’è anche Robert Duvall, che ci dona un’interpretazione sublime. Infine, nel 2008, con Two Lovers, cambia definitivamente genere, approdando al dramma sentimentale, ispirato a Dostoevskij. Sceglie ancora come protagonista Phoenix, affiancato da Vinessa Shaw e dalla bellissima Gwyneth Paltrow.

I personaggi dei suoi film sono disperatamente bloccati nella ricerca spasmodica di qualcosa che li spinga ad andare avanti, a mettersi in gioco. Non siamo più in un’epoca di certezze assolute e le nostre ansie lacerano sempre di più il tessuto della realtà. Vediamo il mondo sgretolarsi, morire e non possiamo che restare inermi dinanzi a questo tetro spettacolo che ci viene imposto. Cerchiamo una svolta, ma è come giocare una partita a scacchi con il destino, conoscendo già l’esito della sfida. La lotta è impari perché non abbiamo gli strumenti per attaccare un nemico che si cela ai nostri occhi. Possiamo aggrapparci alle illusioni, agli amori impossibili, ai sogni che il cinema è capace di darci, come un vecchio morente che ci racconta la sua vita piena di storie incredibili e un po’ oscure. I film di Gray sono giochi di riflessi che tendono a svanire, sono bellissimi quadri in cui ci ritroviamo immersi, ma che lasciano dentro una forte sensazione di vuoto da colmare con la nostre personali esperienze. Forse tutto è destinato a morire, ogni grande amore arriva sempre alla sua naturale conclusione, ma perché non possiamo cercare, anche con inutile ostinazione, la felicità nell’illusione della stabilità? Forse non possiamo comprendere la realtà e i nostri simili, forse siamo destinati alla solitudine e alla rassegnazione, ma il cinema, talvolta, sembra essere il solo modo per comprendere alcuni aspetti della nostra incomunicabilità, forse i più profondi. Gray ci lascia senza speranze, ci toglie anche la possibilità di vedere, ma, brutalmente, ci costringe ad abbandonarci alla dolcezza di quella sospensione che si crea quando ci rifugiamo in noi stessi, in noi stessi che ci vediamo spettatori del nostro dramma. Siamo da entrambi i lati dello schermo e solo così riusciamo a sentirci a casa. Questa sensazione può darcela solo un vero talento del cinema contemporaneo, un geniale artista straordinariamente ispirato! Non ci resta che augurarci che la sua produzione si arricchisca presto di nuovi capolavori.

R Film di James Gray

The Yards7/10

The Yards
Drammatico
di James Gray (Miramax 1999)

La sceneggiatura scritta con Matt Reeves è notevole, ma la pellicola ebbe poca fortuna con la critica e con il pubblico. È un noir che parte sottotono, che brucia tutta la metafora del titolo (che si riferisce agli scambi ferroviari) già...
I Padroni Della Notte9/10

I Padroni Della Notte
Drammatico
di James Gray (2929 Productions, Tempesta Films 2007)

E’ una parabola di conversione quella narrataci da James Gray con il suo I padroni della notte, film che mette in discussione il rapporto tra forze dell’ordine e malavita organizzata, tra forze del bene e forze del male. Protagonista è Robert...
Two Lovers8/10

Two Lovers
Drammatico
di James Gray (2929 Productions, Tempesta Films 2008)

La cosa che balza immediatamente all’occhio è Joaquin Phoenix: enorme, superbo, monumentale. La sua interpretazione è così realistica da apparire irrealistica. Un paradosso? No, perché il suo personaggio è decisamente umano e comune, eppure...
C'era una volta a New York9/10

C'era una volta a New York
Drammatico
di James Gray (Worldview Entertainment, Keep Your Head, Kingsgate Film, 2013)

Reduce dalla selezione di Cannes 2013, C'era una volta a New York (in originale The Immigrant) è l'ultima fatica dell'eccellente regista newyorkese James Gray, che già si era fatto notare nei suoi precedenti film per l'innegabile bravura nel far...
Civiltà Perduta7/10

Civiltà Perduta
Avventura
di James Gray (Keep Your Head, MICA Entertainment, MadRiver Pictures, Plan B Entertainment, Sierra Affinity 2016)

"A man's reach should exceed his grasp". Ciò a cui un uomo aspira dovrebbe andare oltre le sue possibilità, altrimenti la vita stessa non ha alcun senso, non ha un vero scopo. Il verso del poeta Robert Browning citato da Nina Fawcett (Sienna...