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7/10

La signora dello zoo di Varsavia regia di Niki Caro

Biografico
recensione di Leda Mariani

Polonia 1939. La brutale invasione nazista porta morte e devastazione in tutta Europa e la città di Varsavia viene ripetutamente bombardata. Antonina Zabinska e il marito, il dottor Jan Zabinski, dirigono lo zoo della città. Quando il Paese viene invaso dai nazisti, Antonina e Jan sono costretti a prendere ordini dal nuovo zoologo imposto dal Reich, Lutz Heck. Di lì a poco entreranno a far parte della Resistenza ed organizzeranno, a rischio della propria vita e di quella dei loro stessi figli, il salvataggio di molte persone confinate nel Ghetto di Varsavia. Lo stesso zoo servirà da nascondiglio, celando gabbie usate per proteggere esseri umani. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Diane Ackerman, saggista, scrittrice e poetessa americana. Suoi articoli sono apparsi su New York Times, The New Yorker, National Geographic, ed ha vinto numerosi premi, tra i quali l’Orion Book Award proprio per questo romanzo. Fonte del libro sono i diari della vera Antonina Zabinska.

Un film al femminile, tra ragione e sentimento

Non si può certo dire che La signora dello Zoo di Varsavia non sia un film fatto bene. Lo è, indubbiamente, e parla di qualcosa di molto importante: ci racconta nel dettaglio dell’invasione nazista in Polonia e di come la popolazione reagì, in maniera crescente, per difendere se stessa e la propria apertura culturale. Di questa storia vera, legata allo zoo, fino all’uscita del romanzo della Ackerman non si sapeva quasi nulla e quindi è certamente un film che vale la pena di vedere, anche se purtroppo, rispetto a ciò che avrebbe potuto essere a livello di tematica e fattura, pecca davvero di originalità. Il film funziona, ha ritmo, ed è girato indubbiamente bene, arricchito dalla fotografia raffinata, anche se un po’ “glam”, di Andrij Parekh, ma è fin troppo classico e piatto… è la solita pellicola dal taglio americano che ci aspettiamo di vedere. Gli attori sono stati tutti convincenti e la Chastain è perfetta per la parte, oltre che davvero molto brava. Tuttavia, il risultato finale è debole e a tratti anche eccessivamente retorico, senza particolari accenti. Molto convincente Shira Haas, con il suo volto elegante e interessante, nei panni di Urzula. Forse la regista, che aveva per le mani una grossa produzione, ha preferito restare sul classico, costruendo qualcosa di buono senza sbilanciarsi troppo, ma il soggetto era talmente potente, di per sé, che dal mio punto di vista meritava molto di più, in termini di studio ed approfondimento di una formula narrativa più ricercata. Ad ogni modo, la Caro prosegue nel suo importante tentativo di portare sotto ai riflettori storie di vera comunità: cosa che, data la sua innegabile professionalità, può certamente fare tramite visioni più innovative ed audaci. Il doppiaggio è purtroppo orrendo, come spesso accade, e penalizza tantissimo l’interpretazione di Jessica Chastain.

La protagonista, candidata due volte all’Oscar, è impegnata nel ruolo di una donna che fu moglie, madre, lavoratrice e che per molti, durante la Seconda Guerra Mondiale, divenne un’eroina. Niki Caro (La ragazza delle balene, North Country - Storia di Josey), dirige il film scritto da Angela Workman e adattato dal libro di Diane Ackerman, edito in Italia da Sperling & Kupfer dal prossimo 31 ottobre e a sua volta tratto dai diari di Antonina Zabinska. Un elaborato passaggio di testimone tutto al femminile, dunque, per questo film maturato lentamente nell’arco di 10 anni, che si dirama nell’ampio contesto storico della Resistenza polacca contro l’oppressione nazista. Alla regista interessava in particolar modo sviluppare il racconto del modo in cui <<emerge, nel bel mezzo di una guerra, la dimensione della lotta per preservare la vita quotidiana e il matrimonio>>. In quanto donna, creatrice di vita e sensibile ad essa in tutte le sue forme, Antonina applicò agli esseri umani la sua innata comprensione della psicologia animale, cercando di alleviare i loro stati d’animo, ad esempio attraverso la musica. <<Questa storia celebra la vita in tutte le sue forme>> , sostiene la regista, e il personaggio interpretato dalla Chastain dà valore allo spirito di tutti gli esseri viventi resistendo, come donna, in un’epoca di feroce paura e distruzione. Antonina combatteva per rimanere attaccata a quel che c’è di buono nella gente: per preservare lo spirito dei suoi ospiti e ciò che ci rende umani. L’interrogativo sotteso, che emerge continuamente dal racconto (ma purtroppo non sempre dal film), è: <<Chi sono le vere bestie?!>>. La vita nello zoo mette in luce l’idea centrale che avrebbe portato alla sconfitta di Hitler: non si può avere il controllo sulla Natura. Il mondo va avanti, la Natura sopravvive. La vita animale in fondo resiste a qualunque dittatura.

Lo stato di Israele ha onorato gli Zabinski menzionandoli “Giusti tra le nazioni” per aver dato rifugio nell’amato zoo ad oltre 300 persone, tenendole al sicuro e facendole sopravvivere all’Olocausto. La sceneggiatura è stata perfezionata con la collaborazione dei figli degli Zabinski, ancora in vita: Rys e Teresa, protagonisti della vicenda.

Questa è la storia di un Olocausto, perché di fatto, ogni vissuto individuale dello stesso è diverso. La guerra di Jan è quella di un uomo che si trasforma da intellettuale di ampie vedute, a soldato. Quella di Antonina è più viscerale, fatta di compassione e di difesa della vita, che culmina con il parto, in piena guerra. La battaglia di Heck era invece quella dell’uomo contro la Natura: lo zoologo aveva molto a cuore gli animali, ma era anche pronto a fare su di loro esperimenti genetici, nel tentativo di creare bestie mitologiche; una figura controversa la sua, sostenitore dell’idea nazista di una razza ariana che comprendeva esseri umani, ma anche animali, attraverso l’allevamento selettivo. Heck era molto ossessionato dall’Uro, possente bisonte che un tempo popolava i boschi della Germania.

Come già detto, aspettatevi insomma una storia molto interessante, ma una forma piuttosto canonica.

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