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9/10

Logan - The Wolverine regia di James Mangold

Azione
recensione di Leda Mariani

Nel 2024 la popolazione mutante si è ridotta sensibilmente, e gli X-Men si sono sciolti. Logan, il cui potere di guarigione si sta esaurendo, si è arreso all’alcool e ora si guadagna da vivere come autista e si prende cura del sofferente Professor X, che tiene nascosto. Un giorno una sconosciuta chiede a Logan di portare una ragazzina chiamata Laura fino al confine con il Canada. Inizialmente rifiuta, ma il Professore attendeva da lungo tempo il suo arrivo. Laura possiede una straordinaria abilità nel combattimento, ed è sotto molti aspetti identica a Wolverine. Sulle sue tracce ci sono alcuni sinistri figuri che lavorano per una potente corporation; questo perché nel suo DNA è contenuto il segreto che la connette a Logan. Comincia un inseguimento senza sosta…

In questo terzo film con il personaggio della Marvel Wolverine come protagonista, vediamo i supereroi afflitti da problemi quotidiani, che invecchiano, soffrono e lottano per sopravvivere finanziariamente. Un decrepito Logan è costretto a chiedersi se può o se addirittura vuole mettere a buon uso ciò che rimane dei suoi poteri. Sembra che i tempi in cui i supereroi potevano imporre la giustizia nel mondo con artigli affilati e poteri telepatici, siano ormai finiti.

L’essenza della paternità

Non immaginavo che mi sarei mai trovata a fare riflessioni esistenziali in uscita da un film della Twentieth Century Fox sugli X-Men della Marvel, ma vedere Logan, oltre ad essere stato assolutamente coinvolgente ed adrenalinico, mi ha fatto davvero l’effetto che avrebbe potuto farmi un dramma convincente sulla paternità. Tante cose profondamente vere in questa pellicola: vere in senso filosofico, esistenziali e profonde. Qualcosa di spiazzante e di inaspettato. Una sentita riflessione sulla vita, sulla morte, sulla vecchiaia e sulla procreazione. Ho potuto assistere al film in lingua originale in contemporanea all'anteprima mondiale alla 67° edizione del Berlinale e consiglio davvero a chiunque, in primo luogo, di cercare di vederlo in lingua originale, sottotitolata o meno a seconda delle preferenze. Questo più che altro perché si tratta di un film molto sonoro: fatto anche di urla, di grida animalesche che si fanno importanti e comunicative tanto quanto le parole, che accomunano le razze e che diventano un canale preferenziale d’espressione della somiglianza e della famigliarità. Mi chiedo, davvero, come avranno fatto a doppiarlo senza snaturarlo.

Che in Logan tutto fili liscio e funzioni perfettamente lo si capisce dopo pochi secondi dall’inizio, quando il protagonista, devastato, distrutto, invecchiato e sbronzo, è costretto a scendere dall’auto in cui dorme. Il resto del film avrà sempre, fino alla fine e senza nemmeno un piccolo calo di tensione, la medesima cura del dettaglio e la stessa passione per gli elementi rivelatori. James Mangold ha gestito perfettamente il ritmo (impeccabile), la suspense, una fortissima dose di violenza splatter fastidiosa e credibile allo stesso tempo (il film è vietato ai minori di 17 anni), che rispecchia molto bene le potenzialità originali del fumetto, ed ha gestito in maniera accurata anche il punto di vista della bambina Laura, chiarissima nel suo esprimersi a sguardi e suoni, ruolo difficile interpretato in maniera egregia da Dafne Keen, figlia di Will Keen (Amore e altri disastri) al suo incredibile secondo film.

La storia nella sua essenza è sempre la stessa alla quale siamo abituati: una minaccia esterna, l’esigenza di combatterla, di salvare qualcuno, scappare, riunirsi e lottare per la sopravvivenza. Ma a rendere tutto diverso, complesso e migliore, è l’inversione delle proporzioni, perché stavolta non si tratta di “salvare il mondo”, ma una sola persona scelta tra molte, applicando una discriminante molto umana, ed accettando la morte, il dolore e l’uscita dal ruolo di protagonista della scena. Adeguata l’ambientazione messicana, solare e faticosa per i personaggi, che ce ne fa percepire fatiche e sudori, ed ottimale l’idea di un cast ridotto all’osso, invecchiato e destrutturato. I personaggi sono massacrati di umiliazioni ed antiepica e rispetto ai film precedenti riacquistano spessore: lo stesso che si mantiene invece sempre nei fumetti.

I supereroi sono creature mitiche che la Marvel da sempre cerca di rendere il più umani possibile tramite l’umorismo e l’ironia, ma questa volta ha scelto di farlo attraverso la disillusione e la messa in scena del crepuscolo di qualsiasi essere umano: la vecchiaia. Tra azioni rocambolesche perfettamente coreografate, ad effetto cardiopalmo e senza sosta, dall’inizio alla fine, si sviluppa un eroismo concreto e classico che ricorda il West, il genere del Poliziesco e tutta quella narrativa che racconta il lato più animale dell’essere umano. Logan è sempre stato il più feroce del suo “branco”, sulla carta come al cinema, ma Mangold qui lavora tantissimo di sound design e di urla, grugniti e ruggiti. Con il procedere del film si impara a distinguerli, si allena l’orecchio alle urla di furia (bellissime quelle della bambina), di rabbia, di morte e di ritrovato vigore. Ancora niente di nuovo, i supereroi hanno sempre il dovere di sembrare in difficoltà per trovare la vera forza dentro di sé, ma renderlo in questa maniera è una boccata d’aria di cui beneficia tutto il film e nella resa Hugh Jackman si è dimostrato eccezionale  e convincente più che mai.

La storia è in fondo un grande pretesto per mostrare l’attaccamento degli esseri umani, la forza del loro istinto di sopravvivenza, e la paura di morire ed essere soli (in questo i boschi canadesi del finale sono una chiusa impeccabile per la vecchia Arma X). Patrick Stewart impressiona per contributo e precisione: non solo recita in maniera impeccabile e toccante l’anzianità, ma modula i toni di ogni scena, in rapporto al personaggio aspro ed ostile di Logan. Anche il piccolo momento Amarcord in cui si rivangano i vecchi tempi, non suona fuori luogo, ed è anzi una piacevole fuoriuscita metacinematografica, perché il pubblico è effettivamente invecchiato con personaggi che ha visto per la prima volta quasi 20 anni fa, interpretati da questi stessi attori.

Finalmente la decisione di optare per una messa in scena meno ipocrita e più onesta, che porta in primo piano la vera assenza, perché nonostante si tratti di un tipo di cinema che trabocca di azione e violenza, e quindi di morte, ha necessariamente un piglio leggero che nell’esaltare l’azione ne oscura le conseguenze. Logan invece fa il contrario, ha un occhio quasi pornografico per la morte, il dolore, il sangue e la sofferenza di ognuno dei molti gesti violenti compiuti. Ed è davvero un cambio a lungo atteso, coerente con l’aria funerea che domina questo film arrivato al termine di ogni possibile epica. Come ha giustamente sottolineato Gabriele Niola, <<Logan non sarà certo l’ultimo dei cinefumetti, ma se lo fosse sarebbe più che appropriato per come sfronda la mitologia cinematografica dei supereroi di ogni retorica. Lasciando che il mito esista solo nelle pagine dei veri fumetti (finalmente in scena!), rinnegato dagli stessi protagonisti e disprezzato, questo film mette in scena quel che poi è sempre stata l’essenza di questo tipo di cinematografia, vale a dire la propensione verso il sentirsi differenti e fare comunità, in un mondo per il quale si provano sentimenti ambivalenti di difesa e attacco, minaccia e protezione>>.

Altro che flop! Se la serie sugli X-Men al cinema si chiudesse in questa maniera, si sarebbe risollevata acquisendo in significato, valore artistico e funzionamento come film anche solo di puro intrattenimento adrenalinico. Un gioiellino da vedere e rivedere divertendosi, emozionandosi, ed uscendone anche parecchio commossi, come l’entusiasta sala piena di critici galvanizzati, concordi all’unisono sul definirlo un gran bel film.

 

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