Insidious regia di James Wan
HorrorRenai e Josh, giovane coppia con tre figli, si sono da poco trasferiti nella nuova casa. Una sera Dalton, uno dei tre bambini, cade dalle scale e dal mattino seguente cade in un coma che i medici non riescono a spiegare e curare. Dopo tre mesi Dalton torna a casa, ancora in stato d'incoscienza: da quel momento cominciano ad avvenire strani eventi e Renai comincia a sentire e avvertire inquietanti presenze...
It’s only a redrum but I like it. The Bogus Man is on his way as fast as he can run, ma solo chi ha il luccichio può vederlo.
Chi non muore (e negli horror l’infinitesimale possibilità del trapasso c’è) si rivede. James Wan, regista malese dal nobilissimo nome e iniziale di cognome (suvvia, un sforzo di memoria storica), era infatti scomparso, assorbito e stritolato dal suo primogenito, quel Saw che, volenti o nolenti (e noi siamo decisamente nolenti), ha segnato l’horror d’inizio millennio. Un’opera che ha guidato il genere nel nuovo linguaggio mainstream, battezzato dal critico del New York Magazine David Edelstein torture porn.
Un figlio che Wan ha continuato a seguire nelle vesti di produttore ma dal quale sembrava non riuscire a liberarsi: quando infatti la saga incassava milioni di dollari un film dopo l’altro, il regista falliva con le sue nuove creazioni, l’horror Dead Silence e il thriller Death Sentence, entrambi datati 2007 ed entrambi insuccessi sia da parte di pubblico (che del padre di Saw ignora molto probabilmente l’identità) che di critica.
Questa sua nuova fatica sembrava non dover cambiare la tendenza: una trama non baciata dall’originalità e il nome di Oren Peli (regista di Paranormal Activity) tra i produttori facevano temere all’ennesimo prodotto spudoratamente marketing che l’horror regala con indubbia copiosità (ultimo l’aberrante ESP – Fenomeni Paranormali, che solo noi italioti potevamo distribuire in anteprima mondiale con l’acume critico-profetico di un teenager brufoloso).
Invece Insidious funziona maledettamente bene, a ricordarci, come Drag Me To Hell due stagioni fa o Scream 4 pochi mesi or sono, che sebbene l’horror di qualità sia sempre più cosmo di nicchia (sicuramente in Italia, probabilmente anche all’estero), di tanto in tanto esso riesca ancora ad emergere nella superficie delle sale.
La graditissima sorpresa sta proprio nella regia di Wan; la staticità di Saw (che il regista omaggia con un disegnino raffigurante Billy sulla lavagna della classe di Josh) è un lontano ricordo e la macchina da presa ci guida, con movimenti di camera e steadycam lunghi, ipnotici, zoom chirurgici, fotografia calibratissima (Wan ha affermato di aver preso come modello Argento e talvolta – come nel corridoio cremisi di candele preso da Suspiria – il rimando è quasi valentine), in un’escalation di tensione semplicemente perfetta, giostra di incubi che non molla un istante. Se nel film non c’è nulla d’”innovativo” (ma basta parlare d’innovazione come se avesse davvero un significato), non c’è neppure nulla che esuli da quello che dovrebbe ontologicamente essere un film horror: una solida storia che segue con destrezza, disinvoltura e leggerezza i dettami della tensione filmica.
Senza contare poi il capolavoro del film, la “Further sequence”, dove il regista si esalta in un delirio citazionista che racchiude principalmente due grandi templi della celluloide orrorifica, la Loggia Nera di Twin Peaks (del quale riprende anche l’amaro e violento cliffhanger) e l’Overlook Hotel di Shining. Tour de force d’immaginari stravolti, doppelgänger color seppia, allucinazioni oscure, è tra gli apici della visionarietà dell’horror del decennio.
Da applaudire inoltre i protagonisti Patrick Wilson (fattosi conoscere nel 2006 con Hard Candy e Little Children per poi esplodere definitivamente con Watchmen e A-Team) e Rose Byrne (coppa Volpi 2000 per La Dea del ’67 e successivamente nel cast di Troy, Sunshine, X-Men - L’inizio, oltre che nella serie tv Damages), interpreti di una prova lineare, forte e senza sbavature, cosa non diffusa nei film horror, dove la tentazione a esagerare è sempre dietro l’angolo.
Se il film rappresenti solo una felice parentesi della carriera di Wan o se sia la svolta della maturità solo il tempo potrà dircelo. Rimane la certezza che questa bellissima sorpresa proprio non ce l’aspettavamo ed è quindi doppiamente benvenuta.
Capitolo 1, lessico e grammatica horror.
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