Watchmen regia di Zack Snyder
FantascienzaIn un 1985 alternativo, Nixon è presidente degli Stati Uniti al suo quinto mandato e il mondo è sull'orlo di una crisi nucleare: l'"Orologio dell'apocalisse" è regolato a mezzanotte meno quattro. Esistono dei supereroi (chiamati Watchmen, "Guardiani"), ma sono stati banditi a causa di un decreto del governo.
Un uomo precipita dall'alto di un palazzo di New York e una goccia di sangue macchia per sempre un sorriso. Edward Blake, noto come Il Comico, è morto: non è più tempo di scherzi. Rorschach, l'ultimo giustiziere mascherato ancora in attività, indaga sulla sua morte. Convinto che Blake sia solo il primo della lista e che qualcuno stia complottando contro gli avventurieri in costume, si deve affrettare ad avvertire gli ex compagni, ridotti all'inattività dal Decreto Keene: Jon Osterman (alias Dottor Manhattan), il deterrente nucleare in mano agli Stati Uniti, e Laurie (Spettro di Seta), la sua ragazza; il fedele amico Dan (Gufo Notturno); l'uomo più intelligente del mondo, Adrian (Ozymandias). Chi ha ucciso il Comico, e perché?
Partiamo da un presupposto credo basilare: non ho letto la graphic novel di Alan Moore e Dave Gibbons da cui il film è ispirato. Sacrilegio? Dite quello che volete, fatto sta che il resoconto che seguirà esulerà completamente dalla questione film fedele/film necessariamente diverso/ecc… Partiamo, come di consueto dal regista: Zack Snyder. Quello di 300. E prima di 300 quello del remake L’alba dei morti viventi. Un regista che dire discusso è dir poco, ma che a parere del sottoscritto si è meritatamente conquistato con 300 un posto di rilievo non da poco nel cinema americano d’azione e blockbuster.
Merito soprattutto di un’estetica strettamente debitrice proprio del mondo graphic novel, filone sdoganato negli ultimi anni dal fondamentale Sin City. Watchmen in un certo senso è la prosecuzione ideale di 300, perlomeno dal punto di vista stilistico, ed ha dalla sua una sceneggiatura che per merito del fumetto è davvero incredibile e spettacolare, roba che ti fa venir voglia di uscire di casa e sputtanare lo stipendio di un mese per la serie completa di dieci albi realizzati da Moore. Si può quindi dire che l'operazione cinematografica sia riuscita? Pur non avendo letto il fumetto crediamo che la risposta sia ampiamente positiva.
Watchmen è un film prepotentemente spettacolare e commovente. A partire da quei tanto elogiati cinque minuti iniziali dei titoli di testa che paiono un capolavoro nel capolavoro, roba che meriterebbe una recensione a parte come fece qualche anno fa Baricco con l’inizio di Natural Born Killers. Gilliam aveva messo naso nella sceneggiatura a suo tempo e aveva concluso che non si poteva scendere sotto le otto ore di film. Snyder li riduce a due ore e mezza. Ne esce un film denso, pieno, di una solidità tale da far ricordare Il cavaliere oscuro di Nolan. A differenza di quello però le figure risultano più plastiche, l’estetica più immediata e slanciata, gli umori più decadenti e degradati.
Il mondo di Watchmen, inutile dirlo, è incredibilmente affascinante, sia per la sua fantascientifica realtà storico-politica (Nixon presidente ancora nel tardo 1985?!), sia per l’ambigua caratterialità dei Watchmen, personaggi affamati di giustizia ma prima di tutto umani, e come tali anch’essi inclini al peccato, alla violenza, alla distruzione. Il cast è calibrato a dovere: Jackie Earle Haley nel ruolo di Rorschach lascia senza fiato, Edward Blake (Il Comico) trova la giusta ispirazione rifacendosi molto allo stile di Robert Downey Jr, aggiungendoci quel cinismo e quella cattiveria necessari. Patrick Wilson (Gufo Notturno), Matthew Goode (Adrian, alias Ozymandias) e Malin Akerman (Spettro di Seta) si ritagliano un posticino importante con una bona dose di personalità.
Le scelte registiche di fondo poi sembrano tutte azzeccate, a partire dal sapiente utilizzo dello slow-motion nei combattimenti, passando per le coreografie urbane da noir post-hippie e per una violenza splatter spesso gratuita ma mai disturbante o esagerata (nonostante qualche leggero mal di pancia sul piedino della bimba in pasto ai cani e sulle braccia tosate di netto a un ciccione in carcere) fino all’incantevole incedere di una storia mai pesante né troppo frivola (non ci si attacchi troppo al pene in bella vista del dottor Manhattan o alla scena di sesso tra Dan e Laurie please), ma perfettamente scorrevole fino al punto d’arrivo. Se uno vuole di difetti se ne possono trovare, ma francamente l’impressione è che ancora una volta si sia riusciti a combinare in maniera sublime necessità di blockbuster e autorialità artistica.
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