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8/10

Scream 4 regia di Wes Craven

Horror
recensione di Riccardo Nuziale

In questo quarto capitolo della serie meta-horror diretta da Wes Craven, Sidney è divenuta autrice di un manuale di auto-aiuto, e come ultima tappa del tour promozionale del libro torna proprio a Woodsboro. Lì riallaccia i contatti con lo sceriffo Dewey e sua moglie Gale, e anche con la giovane cugina Jill e la zia Kate. Ma, con il ritorno di Sidney a casa, tornano anche gli omicidi di Ghostface, che pare prendere di mira il liceo frequentato da Jill.

Ah, la sindrome di Peter Pan! Ah, l’eterno giocare! Allora giochiamo, bambini mai cresciuti. Ma prima riepilogo!

Nelle puntate precedenti: correva l’anno 1996 quando un regista in apparente crisi (più d’immagine che altro perché, dei primi lavori anni ‘90, solo il pessimo Vampiro a Brooklin fu un passo falso) e un giovane sceneggiatore di belle speranze proveniente dalla televisione fecero accoppiare Munch e la Morte de Il Settimo Sigillo (per l’occasione con cervello stalker), rendendoli protagonisti di una centrifuga re-make/re-model in cui le regole mai scritte del genere più popolare e sentito (qualunque sia il sentimento che si prova) venivano, tra un pop corn e un sorso di Coca Cola, deliberatamente dissezionate e ludicamente derise, sminuzzando e incorporando citazioni (il celeberrimo inizio, ad esempio, è When A Stranger Calls girato a casa di Warhol) e riportando in auge il lucido acciaio dello slasher che tanto aveva brillato negli anni ’80.

A distanza di 15 anni (sebbene a noi bastarono 15 secondi), lo possiamo dire: Scream è uno dei più grandissimi (il lettore ci perdonerà per questo entusiasmo sgrammaticato) horror di tutti i tempi, inimitabile saggio di riflessione sul linguaggio cinematografico, perfetta interpretazione bignamesca e ironica della semantica horror, Ghostface professore clown (desacralizzazione della figura del serial killer: goffo e maldestro, deve per legge divina prendere la sua dose di cazzotti dalla vittima di turno, prima di ucciderla) per un pubblico consciamente e consenzientemente demente.

Un successo clamoroso, di pubblico ancor prima che di critica, tanto da portare Wes Craven a girare due buoni sequel, nel 1997 e nel 2000; in quest’ultimo, sottovalutato capitolo della trilogia originaria, omaggio ai B movies gotici, venne a mancare la collaborazione dello sceneggiatore delle prime due fatiche, Kevin Williamson, sostituito da Ehren Kruger (episodio che si è parzialmente ripetuto in questo nuovo capitolo: per obblighi contrattuali Williamson è stato infatti costretto a lasciare il film con quest’ultimo ancora in fase di produzione e Kruger è stato così chiamato per rivedere lo script. Niente paura, però: il film, come confermato dallo stesso Craven, è williamsoniano in tutto e per tutto. D’altra parte la visione del film potrà confermarvelo perfettamente).

La cosa curiosa è che, di fatto, la trilogia ha “fermato” le carriere dei suoi genitori. Se Williamson ha infatti trovato grande fortuna di pubblico e critica nel piccolo schermo, con Dawson’s Creek prima e The Vampire Diaries ora (inframmezzata dal solo insuccesso di Hidden Palms), al cinema non ha mai trovato un solido equilibrio: il progetto dell’immediato dopo Scream, I Know What You Did Last Summer (So Cosa Hai Fatto), abominevole teen slasher scritto male e diretto (molto) peggio, trovò inspiegabilmente un enorme successo di pubblico, tanto da avere due seguiti (a cui però lo sceneggiatore non prese parte), mentre nel 1998 le ambientazioni high school e le raffinatezze sentimentaladolescenziali di Williamson si mal adattarono allo stile sporco di Robert Rodriguez (che in Scream 4 scopriamo essere il regista del primo Stab) nel body horror The Faculty, risultando un insuccesso su tutti i fronti.

Ma il colpo di grazia per lo sceneggiatore arrivò l’anno successivo con il suo lavoro più intimo e personale (nonché primo e unico film diretto personalmente), la brillante e grottesca black comedy Teaching Mrs. Tingle, in assoluto il suo lavoro migliore dopo il primo Scream. Mettersi totalmente a nudo in un’opera artistica, si sa, è sempre rischioso, e difatti la totale disfatta del film portò Williamson ad un allontanamento dal grande schermo.

Solo nel 2005 lo sceneggiatore tornò a scrivere un film e lo fece – chi si rivede! – per Craven. Ma Cursed, tentativo di smontare e deridere i werewolf movies alla stregua di Scream con gli slasher, rese evidente come quest’ultimo fosse stato un caso di perfezione più unico che raro.

E se Williamson al cinema non sarebbe più tornato fino ad ora, Craven lo avrebbe fatto solo in due occasioni, con esiti sconfortanti: il thriller del 2005 Red Eye e l’horror sovrannaturale del 2010 My Soul To Take (da noi uscirà direttamente nel mercato home video) sono film di certo non all’altezza del passato del regista.

Fine riepilogo. Bene, si può cominciare. Il primo passo da fare è creare un buon inizio: nel primo capitolo fu leggenda, nel secondo ottima rivisitazione (Heather Graham schermo nello schermo), nel terzo, in verità, fu deboluccio (ma come sappiamo non c’era Williamson).

Cosa impariamo da questo nuovo inizio? Beh, innanzitutto che la serie di Saw, fiore all’occhiello dell’horror mainstream del decennio, qui rappresentata dal quarto capitolo (giusto per porre il paragone e far capire chi è meglio), fa schifo: punto guadagnato numero 1. Inoltre, pure True Blood, il serial horror cult delle ultime stagioni, fa schifo; l’omicidio di Anna Paquin, la protagonista della serie, lancia un messaggio inequivocabile. Qui Williamson, autore (lo ricordiamo) del telefilm The Vampire Diaries, dev’essersi divertito un mondo, così come noi: punto guadagnato numero 2.

C’è poi il gioco semper fidelis delle scatole cinesi, del film nel film (ah, Stab!), del sorrisetto meta-qualcosa. Stanco e trito divertissement da studentelli UCLA per alcuni, punto guadagnato numero 3 per noi (e odiamo gli studentelli UCLA), perché la freschezza con cui Craven e Williamson si confrontano, a distanza di un decennio, con la propria autoironia ha, se non del miracoloso, del notevole (riuscire ad essere allo stesso tempo passatisti, contemporanei e nessuna delle due cose non è da tutti).

Ora, però, c’è da fare il film. Il grande quesito era se i due autori avessero ancora qualcosa da “dire” (ma la serie ha mai “detto” veramente qualcosa?) dopo tutti questi anni. Ebbene…

Ebbene Scream 4 è un film che potrebbe (dovrebbe?) scontentare la maggior parte degli spettatori: i detrattori (ma anche gli stessi ammiratori) della serie potrebbero dire che questo quarto capitolo non è altro che uno stantio e noioso gioco fuori Zeitgeist tirato troppo per le lunghe, che il motto “new decade, new rules” rispecchi una satira poco graffiante e poco riuscita di nuovi linguaggi che non gli appartengono e che, di fatto, il film non assorbe. Gli appassionati più giovani e generalisti difficilmente troveranno avvincente un horror dai risvolti prevedibili, da omicidi così poco efferati (oseremmo dire retrò), da scene di paura che paura non fanno granché. Indubbiamente c’è del vero in tutto questo, ma probabilmente si dimentica un fattore a nostro avviso fondamentale: il carattere astorico di Scream.

Lo stesso capostipite non è mai stato contemporaneo, se con questo s’intende rappresentare l’horror della propria epoca; non a caso si parlava e si parla di slasher revival, quando appunto quest’ultimo era morto e sepolto e, ponendosi al di sopra di qualsiasi periodo e genere (pur essendo uno slasher), la serie non appartiene a niente e nessuno.

È vero comunque che questo nuovo capitolo non ingloba gli stilemi affiorati nel decennio, ma si limita ad elencarli. D’altra parte non esiste una sensibilità più distante di quella di Williamson ai dogmi del torture porn, il nome cardine dell’horror noughties: che lo sceneggiatore se ne sia tenuto ben distante è stato solo un bene, a nostro avviso.

Scelto Shaun Of The Dead per omaggiare non solo le zomedy ma tutte le commedie horror, il confronto più interessante (e di fatto l’unico) emerge con gli shaky cam, ovvero gli horror che utilizzano la tecnica della telecamera a mano, in "presa diretta".

Coniugando questa alla nuova regola del “più estremo”, Craven e Williamson hanno avuto modo di portare ad un livello superiore riflessioni portate avanti sin dal film del ’96: la famiglia e i media.

Ora l’assassino sente il bisogno di filmare le sue azioni, di creare un proprio film, dice questo nuovo capitolo. Craven e Williamson hanno sempre posto l’accento, ironizzandovi allegramente, sulla presunta influenza di film e televisione sugli atti di violenza di cui quotidianamente sentiamo parlare nei telegiornali ma ora, nella realtà di internet e Youtube, hanno sentito il bisogno di sottolineare come la tecnologia odierna stia dando adito a nuove, deleterie forme di “sfogo sociale”. La società di Scream 4 è la società che noi stiamo vivendo, dove la brama di fama (sia essa effettiva o fugace) porta ad illusioni sempre più rapide e facili, dove il concetto di apparire è ben superiore a quello di essere. In questo Scream 4 porta a piena maturazione (chiaramente ridendoci su, come sempre) i semi di Il Cameraman e L’Assassino e Assassini Nati.

E da lì alla critica alla famiglia il passaggio è breve. Non che i due autori ci siano mai andati leggeri su questo; in un certo senso tutto Scream è la ricerca di Sidney, sola con tutti, della famiglia che mai ha avuto e mai avrà. Ma in questo quarto film l’operazione è certosina: viene demolita la sicurezza della “home, sweet home” attraverso la demolizione della base della famiglia, la progenie. L’emblematica figura di Jill racchiude tutta l’essenza della blank generation attuale e la sua morte “eroica”, esaltata dai mass media mentre Craven la immortala in un primissimo piano, simbolizza una società/famiglia tanto superficiale quanto sfuggevole, in cui la rappresentazione di sé (e non l’unione familiare, verso cui i figli sembrano nutrire totale disinteresse, se non disprezzo, sembrano dire i due) è il vero atto epico.

A differenza degli altri serial killer iconici dell’horror statunitense, Ghostface è di nessuna e molteplice identità proprio perché rappresenta sia la paura archetipa sia la maschera sociale: a differenza dei vari Leatherface, Jason, Freddie Krueger, Michael Myers, Ghostface nasce da noi…È noi.

Dubitiamo che nuovi capitoli della serie, come sembra potranno nascere per dar vita ad una nuova trilogia, desteranno il nostro pieno interesse. Ma va bene così: nella speranza comunque di essere ancora una volta felicemente smentiti, non abbiamo la minima esitazione nel dire di preferire a priori Scream 12 al primo Saw.

Bentornati, ragazzi.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 6 voti.
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loson79 (ha votato 8 questo film) alle 11:21 del 26 aprile 2011 ha scritto:

Recensione - trattato estetico - analisi sociologica - romanzo di formazione. Rick, un lavoro monumentale. O_O

Krautrick, autore, (ha votato 8 questo film) alle 14:02 del 26 aprile 2011 ha scritto:

bello il mio Emilio Fede personale ;D ma lavoro monumentale de che, abbi pazienza

loson79 (ha votato 8 questo film) alle 18:27 del 26 aprile 2011 ha scritto:

Sior Cavaliere, ho due escort pronte per stasera. Che faccio, gliele incarto? ;D

Krautrick, autore, (ha votato 8 questo film) alle 19:58 del 26 aprile 2011 ha scritto:

se mi porti Neve Campbell, ti faccio partecipare al festino ;D

bargeld alle 13:00 del 27 aprile 2011 ha scritto:

Ho letto ora d'un fiato Rick. Splendido lavoro, davvero!

Krautrick, autore, (ha votato 8 questo film) alle 13:27 del 28 aprile 2011 ha scritto:

Grazie, troppo buono

ffhgui alle 15:43 del 19 giugno 2011 ha scritto:

Mai piaciuta la saga di Scream, è tra le peggiori cose fatte da Craven (regista ottimo ma assai altalenante). Salvo il primo, che non è malaccio, il 2 e il 3 sono bruttini assai. Questo non lo guarderò mai probabilmente.

Krautrick, autore, (ha votato 8 questo film) alle 13:44 del 8 luglio 2011 ha scritto:

No problem difatti questo nuovo capitolo è un film "esoterico", indirizzato solo agli amanti della trilogia (e a qualche completista horror). Gli altri giustamente non lo guardano.