R Recensione

8/10

Death in Sarajevo regia di Danis Tanovic

Drammatico
recensione di Francesco Ruzzier

 

Sarajevo, 28 giugno 2014: nel giorno del centenario dall'assassinio di Francesco Ferdinando d'Asburgo che scatenò la Prima Guerra Mondiale, chiuso in una stanza del lussuoso Hotel Europa, un politico europeista francese ripete allo sfinimento il discorso che dovrà tenere qualche ora più tardi di fronte a una platea di diplomatici per commemorare lo storico evento.

 

Dalla piéce teatrale “Hotel Europe” scritta dal filosofo francese Bernard Henry-Lévy prende vita Death in Sarajevo, il nuovo lungometraggio del regista premio Oscar Danis Tanović: una lucidissima rilettura storica, che racconta con ironia e senza retorica la Bosnia di oggi, facendo leva sulla ciclicità della Storia e sull'inevitabilità dei conflitti.

Partendo proprio dalle difficoltà del politico francese di trovare le parole giuste per un discorso adeguato sugli eventi che hanno portato allo scoppio del primo conflitto mondiale, Tanović muove vorticosamente la propria macchina da presa da un piano all'altro dell'Hotel, spostandosi metaforicamente da una classe sociale all'altra, ognuna appartenente e relegata al proprio spazio: dal personale che vuol scioperare perché senza stipendio da mesi che abita i piani sotterranei, fino ad arrivare al tetto dove invece stazionano i mass media, con una giornalista che si scontra verbalmente con uno dei suoi ospiti, facendo emergere tutti i rancori dei conflitti mai risolti tra bosniaci e serbi.

Oggi Sarajevo secondo Tanović rappresenta ancora, come cent'anni fa, un luogo perfetto per raccontare incontri e scontri di culture diverse; una città dove non esistono verità univoche e dove tutto appare ambiguo e fuori controllo. In questo senso la "fortezza" dell'Hotel Europa, collocata al centro della città, diventa la perfetta raffigurazione di un non-luogo che funge da contenitore per tutte le tensioni, i movimenti, le lotte e i sogni mai realizzati di un continente alla deriva, nel quale si continuano ad intrecciare storie per le quali si percepisce, come spiega il titolo stesso, un unico inevitabile epilogo.

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