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R Recensione

7/10

Una volta nella vita regia di Marie-Castille Mention-Schaar

Commedia
recensione di Pasquale D'Aiello

In un comune della banlieu parigina, una seconda liceo, particolarmente turbolenta e attraversata da conflitti culturali, partecipa ad un concorso sulla memoria dei bambini vittime della Shoa. Questa esperienza diventa la sua opportunità di maturazione.

In un comune della banlieu parigina, una seconda liceo, particolarmente turbolenta e attraversata da conflitti culturali, partecipa ad un concorso sulla memoria dei bambini vittime della Shoa. E' questa la carta che la loro professoressa decide di tentare per offrirgli una possibilità di maturazione che li sottragga al futuro di emarginazione a cui sono destinati. Tratto da una storia vera, sceneggiata, e resa anche in forma di romanzo (in Italia edito da Vallardi), da uno degli stessi ragazzi che l'hanno vissuta (Ahmed Dramé), qui anche attore, indaga i conflitti giovanili tipici delle periferie francesi, in cui la composizione multietnica crea contesti sconnessi rendendo l'adolescenza il terreno sul quale si confrontano opzioni culturali opposte. Si tratta di opzioni molto spesso polarizzate nell'antagonismo tra legalità e illegalità, Islam radicale e laicità dello stato ma che più in generale sono descrivibili dall'opposizione inclusione-esclusione. La professoressa Anne Gueguen sa che i suoi allievi sono destinati per lo più ad abitare la periferia della società, candidati a ricoprire ruoli di rincalzo. Molti educatori si sono già arresi a questa evidenza e stanno lasciando fluire la vita nella direzione già presa. Ma lei non ha perso le speranze e decide di iscrivere la sua classe ad un concorso nazionale che li porterà a comprendere il valore della collaborazione ma soprattutto quello dello studio e della memoria. Accedere ad una memoria condivisa rende questi ragazzi parte della società e ne divengono consapevoli. In un presente, che non offre facilmente occasioni di condivisione a chi parte da una condizione di esclusione, è il passato ad offrire un'opportunità di partecipazione all'identità della nazione, e non a caso il titolo originale del film (Les Héritiers, Gli Eredi) evidenzia il tentativo di passare del testimone anche a questi giovani cittadini. Lo stile utilizzato è quello tipico del cinema del reale, con attori in parte non professionisti, abbondante utilizzo di camere a mano che rendono il racconto intimo e partecipato, in alcune riprese si arriva ad utilizzare anche tre camere perché è un film collettivo sulla crescita dei personaggi, non tutto si può mettere in sceneggiatura e nel lungo lavoro di montaggio si è dovuto scavare nelle molteplici inquadrature per cogliere gli sguardi e le relazioni più significative tra i personaggi. La Francia ha ben presente che il suo futuro si progetta nella scuola, è in quel luogo che si gioca la sua scommessa per continuare i suoi valori di libertà, fratellanza e laicità, messi in discussione dal suo passato coloniale, dalla forte presenza di una componente islamica e dalle disuguaglianze economiche. Il cinema francese ha già una pregevole tradizione di film che diventano endoscopi nel corpo della scuola, producendo molti lavori di grande capacità analitica e di forte impatto. Si va dal documentaristico narrativo Essere e avere (2002) di Nicolas Philibert, ambientato in una scuola di campagna, e che rappresenta un momento di innovazione nel linguaggio del documentario, a La classe - Entre les murs (2008) di Laurent Cantet che fornisce lo schema produttivo e narrativo anche di Una volta nella vita, in cui si mescola documentazione e finzione, nel tentativo di coniugare verità e efficacia evitando le trappole della retorica, passando per La schivata (2003) di Abdel Kechiche che, pur utilizzando un sceneggiatura di finzione, riesce a rendere con limpidezza quegli stessi turbolenti contesti sociali, senza poter dimenticare che nel suo passato ci sono capolavori della statura di Zèro de conduite (1933) di Jean Vigò. La scommessa della regista e del giovane sceneggiatore può dirsi certamente vinta e, nonostante alcune ingenuità (ad esempio nell'utilizzo dei commenti musicali) che denotano una dose di incertezza nel registro narrativo, l'esito è un felice compromesso in cui realtà e finzione lavorano in sinergia al servizio di un cinema d'indagine e di impegno che non rinuncia ad emozionare.

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