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6/10

The Cuban Wives regia di Alberto Antonio Dandolo

Documentario
recensione di Alessandro Giovannini

Il documentario espone un problema giudiziario poco conosciuto in Europa, motivo di attrito tra Cuba e Stati Uniti: nel 1998 cinque agenti segreti cubani operanti a Miami sotto falsa identità col compito di infiltrarsi in organizzazioni paramilitari anti-cubane, furono arrestati con vari capi di imputazione di matrice cospiratoria, e condannati a pene che oscillano tra i 77 anni di detenzione e l'ergastolo. Una commissione delle Nazioni Unite ha dichiarato che i cinque hanno subito un processo iniquo. Il regista ha intervistato i famigliari di alcuni di essi, in particolare due mogli che non hanno mai ottenuto il visto da parte degli USA per poter andare a trovare i propri cari reclusi.

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Il documentarista Alberto Antonio Dandolo realizza un film antropocentrico nella migliore tradizione Herzog-iana. Lasciando parlare i protagonisti senza usare un commento proprio, la tesi del film è chiara: i 5 sono stati condannati ingiustamente. La pellicola vuole illustrare il problema agli spettatori ed invogliarli a prendere posizione in merito: tramite il sito Internet del film è infatti possibile firmare una petizione da inviare al presidente Obama ed intraprendere altre attività di supporto alla causa delle mogli cubane. Il regista filma i famigliari dei carcerati nelle loro abitazioni, li ritrae impegnati nelle faccende casalinghe e quotidiane, si concede qualche panoramica de L'Avana, si sofferma su dettagli umani  (mani, volti) e sul contesto urbano in situazioni diurne e notturne; il risultato è di far sembrare Cuba un'isola idilliaca, una sorta di paradiso perduto per i cinque detenuti, che possono conservare solo nel ricordo i volti ed i luoghi cari (solo a tre di essi è concessa, una volta l'anno, la visita dei famigliari). Il regista mostra anche le attività di comunicazione e solidarietà cui le mogli partecipano, con l'appoggio dei media e della popolazione, nonchè dei cubani espatriati residenti nell'area urbana di Miami.

Oltre ai famigliari, il regista intervista alcune personalità che forniscono punti di vista diversi sul caso giudiziario (tutti concordanti sull'ingiustizia del medesimo): Josè Pertierra (rappresentante del governo venezuelano), Ricardo Alacron (presidente dell'assemblea nazionale del Potere Popolare di Cuba), Gloria La Riva (direttrice della commissione delle Nazioni Unite "Free the Cuban Five"), Frei Betto (scrittore, teologo e politologo cubano), Wayne Smith (secondo comandante in capo della U.S. Interests Section a L'Avana tra il '79 e l'82). Queste interviste sono tutte a camera fissa con sfondo nero, opposte al caleidoscopio di colori cui la fotografia ad alto contrasto ricorre bombardando lo spettatore durante le riprese della città.

Il documentario, dagli intenti nobili, ha però un grave difetto: la carenza informativa. Tradotto: lo spettatore che guarda il film non conoscendo il caso ed aspettandsi giustamente che il film colmi la sua lacuna, ne rimarrà in parte deluso; la pellicola dà per scontata la conoscenza pregressa della materia giuridica, cui accenna solo per sommi capi e comunque in un modo approssimativo che rende impossibile farsi un'idea propria se non si conosce già il caso. In questo modo il documentario rende impossibile l'empatia totale con le donne protagoniste: semplicemente non si hanno abbastanza informazioni per poter giudicare  autonomamente, cosicchè lo spettatore debba in sostanza "fidarsi" di quanto sente, e quanto sente è solo una campana: nessun rappresentante giuridico degli Stati Uniti viene interpellato, nessun parere opposto viene messo in campo. Non è questione di "fair play": il regista avrebbe potuto intervistare l'altra parte in tono polemico, magari sottolineandone le eventuali contraddizioni; invece non prende nemmeno in considerazione l'idea, preferendo "sprecare" parte del poco tempo a disposizione (il film dura meno di un'ora) a riprendere gente che canta e balla per la strada, attività quotidiane che avvengono nella capitale, insomma ritrarre la "cuban way of life" che sinceramente non è di alcun interesse data la materia trattata.

Anche in questo caso il sito ufficiale del film (http://www.thecubanwives.com) diventa una tappa obbligatoria per lo spettatore che voglia conoscere maggiori dettagli sulla vicenda; il punto è: quanta percentuale spettatoriale avrà tempo e voglia di farlo? Non sarebbe stato meglio occuparsene nel film?

The Cuban Wives è un tentativo sincero e lodevole di fare informazione su un caso pressochè snobbato dai media generalisti, peccato però che il suo contenuto informativo sia piuttosto carente.

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