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8/10

La mia vita da Zucchina regia di Claude Barras

Animazione
recensione di Alessandro Pascale

Icare rimane orfano dopo aver provocato in maniera involontaria la morte della madre alcolizzata. Non avendo altri parenti viene affidato ad un centro specializzato per gli orfani dove si ritrova a vivere con altri bambini sfortunati. Le cose però cominceranno progressivamente a migliorare dopo iniziali difficoltà.

È un piccolo gioiello il mediometraggio Ma vie de Courgette (in italiano tradotto La mia vita da Zucchina) di Claude Barras, non a caso premiato in diversi festival internazionali. Sorprende inizialmente per la sua capacità di narrare ricercare poeticamente un filo di bellezza pur nella tragedia devastante di Icare, bimbo soprannominato Courgette dalla madre e affezionatosi a tale soprannome tanto da obbligare chiunque a chiamarlo in tale maniera.

Zucchina diventa orfano per una disgrazia tragica che lascia a bocca aperta lo spettatore. La modalità con cui si racconta questo tragico sviluppo narrativo lascia infatti basiti e spiazzati per la crudezza degli eventi, pur senza mai diventare esplicitamente violenti o volgari, anzi il contrario. Un sentimento del patetico viene anch'esso evitato sapientemente mantenendo un livello di estrema semplicità narrativa e descrittiva, agevolata senz'altro dalla scelta del genere d'animazione minimale e “rustico”. A trionfare sono i buoni sentimenti che sfociano in un happy ending non scontato, che nel suo sapore fiabesco classico riesce a commuovere per la sua capacità di ricordare le “piccole bellezze” che si perdono in una quotidianità mediatica e cinematografica scossa da grandi fatti roboanti e sensazionali. Un finale reso possibile dall'esaltazione, non certo ostacolata e difficoltosa nel suo work in progress, del ruolo dell'amicizia e dell'amore romantico, come soprattutto può essere quello tra due bambini. Non manca in questo scenario una nota in controtendenza riguardo alla lettura della società: abituati da una cultura che tende a privilegiare la dimensione familiare a scapito di quella socio-istituzionale (si pensi in tal senso a Oliver Twist di Dickens come esempio paradigmatico), in La mia vita da Zucchina assistiamo invece al contrario: le istituzioni socio-assistenziali che si dedicano alla cura degli orfani funzionano, e anche bene, tanto da garantire un recupero del benessere e della crescita personale dei piccoli sfortunati. Riescono soprattutto a difendere i bambini da una natura gretta e meschina che si ritrova invece nella società circostante, anche all'interno degli stessi affetti familiari. Il capovolgimento sul tema è reso possibile da un contesto culturale, quello francese, basato su un welfare state ancora molto avanzato in termini di servizi sociali e assistenziali, o che quanto meno si vuole promuovere come tale a fronte di una situazione di degrado culturale sempre più avanzato nella società contemporanea.

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