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10/10

Requiem For A Dream regia di Darren Aronofsky

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

Il film è diviso in tre sottosezioni, riferibili a tre stagioni, che a loro volta sono corrispondenti rispettivamente all'ascesa, al declino e alla caduta dei protagonisti.

Sara Goldfarb è una casalinga vedova le cui uniche attività consistono nel guardare i suoi programmi preferiti in televisione e conversare amabilmente con le vicine. Suo figlio, Harry, è un tossicodipendente che, insieme al suo amico Tyrone e alla sua ragazza Marion, cerca in continuazione escamotage per procurarsi la droga. Un giorno a Sara viene comunicato che è stata inserita in una lista di possibili partecipanti a dei programmi televisivi; emozionata per l'imminente avvenimento, decide che per l'evento indosserà un vestito rosso che amava portare da giovane, ma il suo corpo non è più quello di una volta e, per far sì che l'abito le stia di nuovo, decide di dimagrire. Dopo gli iniziali insuccessi, la donna contatta un medico che le prescrive una dieta a base di anfetamine, nonostante lei non lo sappia e non conosca la natura pericolosa di queste "medicine". Nel frattempo Harry, insieme a Tyrone, inizia un traffico di droga, per non avere più problemi di disponibilità della stessa e, congiuntamente, per realizzare il sogno di Marion (aspirante stilista) di aprire un negozio di vestiti.

Inizialmente le cose sembrano andare "bene" a tutti i personaggi, ma poi gli eventi iniziano a degenerare...

 

"non è certamente detto che se ti droghi ti amputano un braccio, la tua ragazza va a fare la prostituta, il tuo migliore amico in carcere e a tua madre fanno l'electroshock."

dalla recensione di rottentomatoes.com

Partiamo da questa critica all'opera di Aronofsky, per mettere in rilievo l'aspetto centrale del film: la critica sistematica e totalitaria delle droghe. Quelle pesanti soprattutto, ma non solo, se è vero che anche la marijuana fa la sua comparsa non certo saltuaria.

In effetti col senno di poi si potrebbe pensare che l'impostazione dell'opera sia estremamente negativa, pessimista, politicamente reazionaria e mediaticamente violenta se propinata ad un gruppetto di studenti adolescenti.

Non vengono precisati chiarimenti netti sulle differenze di effetto tra le varie droghe, e ad uscirne male sono un po' tutte, diciamolo. Eppure l'intento di Aronofsky non è quello di denunciare in sé le droghe. Non è questo perlomeno ciò che si percepisce dalla visione. Quel che emerge sul lungo termine della pellicola è la rappresentazione di una società disfatta, frammentata e atomizzata in singoli individui privi di uno scopo e di un fine, abbandonati a sé stessi e portatori di un profondo disagio esistenziale. Qualcuno non è del tutto esente da colpe essendocisi ficcato da solo in questi pasticci (Harry Goldfarb e Marion Silver, giovani sani con alle spalle famiglie solide e nel secondo caso pure benestanti), altri invece ci si sono ritrovati per far fronte ad una perdita personale che li ha lasciati soli (Sara Goldfarb e Tyrone C. Love).

Per tutti la risoluzione del problema è trovare qualcosa di forte cui appigliarsi: la creazione quindi di una dipendenza da qualcosa che dia un senso alla propria vita: questa dipendenza non è però la droga in sé. Questa non è che un mezzo per cementificare dei legami altrimenti deboli: la vecchia Sara trova nella possibilità di andare in televisione la possibilità di diventare una VIP, rivivendo con la fantasia la propria fantasia e il ricordo dei tempi d'oro in cui aveva un marito e un figlio dal futuro promettente; Harry e Marion usano la cocaina per condividere stati psichici-emotivi e saldare la propria relazione sentimentale, costruendosi una prospettiva lavorativa futura di un negozio di vestiti, la cui realizzazione dipende dai soldi ricavati dallo spaccio di droga; Tyrone, la cui storia è la più debole dei quattro, soffre al ricordo della protezione materna che non c'è più, e ricerca quell'affetto in relazioni occasionali, mostrando così di non essere stato capace di diventare un adulto responsabile e maturo.

Per tutti e quattro le cose vanno bene nell'estate, prima parte dell'opera in cui si racconta l'ascesa dei personaggi e gli effetti positivi sul breve periodo di queste dipendenze. Poi però arriva l'autunno, la caduta delle foglie e l'inizio del declino di alberi sempre più spogli. Le cose cominciano ad andare male per tutti, e lentamente si scivola da un'euforia paradisiaca ad un inferno dantesco. Siamo ancora in bilico però. Si precipita nell'abisso quando arriva l'inverno, terza parte dell'opera in cui cade ogni speranza: lo spettatore dopo essersi immedesimato con quattro personaggi tutto sommato ingenui e positivi soffre terribilmente nel vederne la brutale degenerazione psicologica e fisica, che li porta a deteriorarsi visibilmente in volti sciupati, corpi mutilati, animi spezzati, dignità scomparse.

Requiem for a dream diventa uno dei film più angoscianti che il cinema recente abbia realizzato. L'assenza della primavera, metaforicamente stagione della rinascita, determina la scelta di Aronofsky di abbandonare ogni buonismo e possibilità di speranza. Non si toccano mezze misure, si può solo precipitare trascinati dall'ossessiva e cupa theme song del film, un gioiello strumentale realizzato da Clint Mansell e dai Kronos Quartet che realizza un perfetto connubio tra musica classica ed estetica dark.

L'eventuale contenuto politico o sociale lascia il tempo che trova e rimane solo la profonda pietà per la fine tragica che fanno i quattro personaggi, la cui umanità e le cui ingenuità e debolezze impediscono di ritrarli come tossici e delinquenti da due soldi.

È questo l'aspetto che terrorizza di Requiem for a dream: che si è ben distanti dal modello spaccone e “spettacolare” di Trainspotting. Qui i protagonisti sono gente comune, addirittura una vecchietta che potrebbe essere la vostra nonna e che inizia a prendere pillole per dimagrire non sapendo che sono anfetamine che le creeranno una dipendenza fortissima. I protagonisti potreste essere benissimo voi o i vostri affetti...

Requiem for a dream però non è solo un film che tocca le emozioni come pochi altri, ma è anche un capolavoro che segna uno dei vertici più alti del cinema post-moderno. Nello stesso anno in cui Nolan con Memento rivoluzionava il modello di narrazione cronologica Aronofsky porta alla perfezione stilistica alcune intuizioni mostrate nel già fenomenale esordio Pi Greco, Il teorema del delirio: ritmo sfrenato al limite del cyber-punk (ripetuta costantemente la preparazione della dose di cocaina), fotografia claustrofobica, con apici surreal-grotteschi degni dei migliori Lynch e Cronenberg. Basti pensare soprattutto alle scene che ritraggono la vecchia Sara in preda a visioni deliranti in cui il frigorifero l'assale e i personaggi della televisione escono dallo schermo per denigrarla.

Ovviamente Requiem for a dream sta a Pi Greco come Velluto blu sta a Eraserhead. Molto più curato e “accettabile” dal grande pubblico l'estetica della presente opera, impreziosita da un incalzare visivo più violento e da una ricerca che propone sovente lo sdoppiamento dello screaner in più riquadri affiancati. Hollywood incontra l'underground e ne esce fuori un capolavoro di un'intensità tragica devastante. Ce n'è abbastanza da sconvolgere e far scorrere i lacrimoni. Occhio però, è roba da maneggiare con cautela.

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Voto degli utenti: 9,1/10 in media su 13 voti.

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synth_charmer (ha votato 10 questo film) alle 9:56 del 11 gennaio 2011 ha scritto:

qui le cinque stelle ce le spendo fenomenale Aronofsky. Io direi che Requiem sta a Pi come Strade Perdute sta a Eraserhead. Uno dei film più forti e pericolosi di sempre.

dalvans (ha votato 7 questo film) alle 12:09 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Discreto

Discreto

TexasGin_82 (ha votato 9 questo film) alle 16:25 del 28 agosto 2012 ha scritto:

questo film me lo ero perso fino a ieri sera!

Marco_Biasio (ha votato 8 questo film) alle 12:13 del 2 agosto 2015 ha scritto:

Vive della stessa estetica maledettistica ed autocompiaciuta (dunque, in definitiva, posticcia, vagamente irritante) del Korine di Gummo. La differenza è che qui si racconta una storia, lì si spia dal buco della serratura: in entrambi i casi si rimane fortemente impressionati dalle prime visioni e la sensazione di insincerità si fa strada solo in seguito, quasi sottopelle. Questa è, comunque, una visione del tutto personale. Preferisco sicuramente l'Aronofsky di Pi, ma ammetto che è un gran bel vedere anche questo (la storia della madre è straziante). Qualche faciloneria qui e lì nel tessuto narrativo non ne intacca la forza complessiva.

forever007 (ha votato 9 questo film) alle 20:03 del 22 ottobre 2015 ha scritto:

Non è dieci perchè uno dei personaggi non mi ha colpito più di tanto. Se ci fosse solo la madre il film sarebbe già fortissimo, con Marion e Jared Leto tocca vette che pochi film negli anni 2000 hanno toccato. Disturbante.